Il Greco è tornato. Dopo diciassette anni di carcere Aristèides Albanese, alias il Greco, ha scontato la sua pena per l'omicidio della guardia giurata Olindo Bossi, uno degli sgherri della cricca di Antonio Gasparri, influente politico triestino che ha le mani in pasta un po' ovunque, a cominciare dal porto. Albanese aveva sempre giurato di aver ucciso Bossi solo per legittima difesa, ma una selva di testimoni, tutti della banda Gasparri, aveva deposto contro di lui. E a mandarlo in carcere era stato proprio il commissario Proteo Laurenti, allora in avvio di carriera e quindi non del tutto convinto di seguire il suo fiuto, che gli suggeriva che Albanese avesse ragione. All'origine del fatto di sangue proprio l'atteggiamento di Albanese, di mestiere cuoco, che aveva sgamato certi loschi affari di Gasparri.
Scontata dunque in anticipo la pena ventennale in un carcere del Veneto, il Greco torna a Trieste con l'idea di vendicarsi. Intanto però ha un progetto virtuoso: aprire con l'aiuto di don Alfredo, nella cui comunità di recupero ha lavorato, e di un altro ex detenuto, il buon giovane pakistano Aahrash Ahmad Zardari, un piccolo ristorante tutto loro, dal simpatico nome di "Avviso di garanzia", proprio a due passi dal tribunale. A finanziare in parte l'impresa sarà l'anziana zia Milli, che ha cresciuto Aristèides dopo la morte per omicidio, nel 1966 a soli 24 anni, della madre del Greco, Melanì Albanese, di mestiere prostituta.
Mentre l'ombra del Greco si allunga su Gasparri e la sua banda di accoliti - tra cui c'è anche Fedora, madre dell'unico figlio del Greco, Dino - dal piano alto di un palazzo in pieno centro precipita in strada e muore Maggie Aggeliki, presidente dell'Aggeliki Shipping Company, società storicamente insediata in Porto, in procinto di manovre economiche in grado di dare molto fastidio alla parte di Trieste più conservatrice, quella abituata a fare ostruzionismo. Perché, come ben sa il commissario Laurenti, «a Trieste era difficile gestire imprese di successo senza la complicità della politica. Al contrario, guadagnavano soldi a palate quelli che facevano ostruzionismo, costringendo le aziende a trasferirsi in Veneto o magari in Slovenia, che a detta di un loro politico conservatore era il Paese più corrotto d'Europa».
È dunque in una Trieste dove la regola sembra essere l'esclusione, la messa al bando e l'allontanamento per chi non si allinea alle bande giuste, che si muove la nuova avventura del Commissario Laurenti: e appunto si intitola "Ostracismo" (Edizioni E/O, pagg. 304, euro 11,99, traduzione di Monica Pesetti) il nuovo noir del creatore di Laurenti, Veit Heinichen, da oggi nelle librerie, e che domani viene presentato al Bar Ferrari via san Nicolò 18, alle 18, in colloquio con Francesco Russo (in caso di maltempo l'incontro si terrà alla libreria Minerva).
Dal primo giallo "Morte in lista d'attesa", all'ultimo "La Giornalaia", ritroviamo il commissario più famoso di Trieste ormai diventato nonno ma per nulla infiacchito dagli anni. Anzi, stavolta la fitta trama dell'intreccio lo porterà a frugare tra presente e passato, perché come forse mai prima di questo romanzo Heinichen punta sui legami del tempo - antiche relazioni, amori recisi ma non del tutto morti, sorprendenti intrecci parentali - per rappresentare la molteplicità delle anime di una Trieste dove nulla avviene mai per caso, e ogni male affonda le sue radici nel passato. E anche stavolta l'anima da gourmet dell'autore si riflette nei tanti simboli legati al cibo. Non a caso la sottile, preventiva vendetta del Greco, passa proprio per una punizione "corporale" a suon di leccornie.
Ma Laurenti saprà - lo ha sempre saputo -, discernere i buoni dai cattivi nel groviglio di personaggi che animano l'"Ostracismo" triestino.