Dobbiamo alle edizioni e/o, nella collana “Gli intramontabili”, una autentica scoperta: quella di tre romanzi di Ernst Lothar (1890-1974), ebreo viennese, dalla vita tumultuosa come tumultuosi erano gli anni della sua formazione e maturità: dalla provincia dell’Impero, da Brünn/Brno in Moravia a Vienna e da Vienna all’esilio americano e poi di nuovo nella capitale austriaca. Lothar partecipa di quella sparuta minoranza di ebrei mitteleuropei che non poterono né vollero dimenticare le radici ebraico-tedesche, sicché la materia della sua scrittura torna sempre sul luogo della tragedia. Il suo capolavoro, La melodia di Vienna (titolo precedente: L’angelo musicante) è una sorta di Buddenbrook in chiave asburgica, dove al posto di Lubecca entra in scena Vienna, naturalmente: primo distretto. Lothar racconta la decadenza di una famiglia travolta dalla tragedia del nazionalsocialismo, movimento dalle robuste, profonde e maledette radici austriache, sorto sulla scorta di un possente movimento antisemita che proprio da Vienna si diffuse in Germania. Eppure la Vienna asburgica aveva saputo produrre forti e validi anticorpi e non fu certo un caso che Adolf Hitler dovette abbandonare, indispettito, Vienna per trasferirsi a Monaco, nelle cui birrerie trovò finalmente il suo ambiente e i suoi fanatici e brutali sostenitori. Solo nel 1938 gli riuscì di “annettersi” l’Austria e Vienna. Questa ben nota storia viene rievocata, rivisitata dall’interno delle vicissitudini di una famiglia con la sua nobiltà e la sua miseria e infine con la capitolazione di fronte ai nazisti. Una vicenda che è stata raccontata da Joseph Roth, Stefan Zweig, Franz Werfel, ma che continua a coinvolgerci e che Lothar ha saputo far rivivere con la sua straordinaria, appassionata capacità epica.