I luoghi fisici possono determinare le geografie intime dell'essere umano?
Si direbbe proprio di sì ascoltando Sacha Naspini, interessante ospite della 17^ edizione della Mostra Regionale del Libro tenutasi a Macomer la scorsa settimana.
Nella prima pagina del suo libro c'è una piantina: è la fotografia delle case di un piccolo borgo con accanto il nome di chi le abita e, dice l'autore aprendo l'incontro con il pubblico, «è la fotografia emozionale di una geografia esterna, che ci parla di quanto i luoghi posso determinare la geografia interna».
Con il suo romanzo Le Case del malcontento, Naspini tratteggia un mondo immaginario, ambientato e racchiuso in un microcosmo della Maremma, che diventa ben presto la cartina di tornasole dell'animo umano, delle sue evoluzioni ed involuzioni e delle dinamiche che si ripetono in una scena che ha la forza ed il respiro dell'universale.
Con una danza cadenzata, l'autore muove i passi di una miriade di personaggi, intrappolati in uno spazio temporale che è quello dell'immobilismo e della staticità della vita di un piccolo borgo: un luogo chiuso dentro mura millenarie, abitato da persone anziane e svuotato di giovani, di vitalità e di futuro, in cui le giornate, sempre uguali a loro stesse, sono la riproduzione catatonica di una stasi consolidata ed immutabile.
«Le Case è un luogo vero, che esiste – ha spiegato l'autore alla platea macomerese – si chiama Roccatederighi ed è il paese dove sono nato e nel quale ho vissuto fino all'età di 5 anni. L'ambientazione è quella di un borgo con le luci già spente alle 5 di sera, dove le vite sono ferme perché le persone hanno già dato, hanno già vissuto ed a sovvertire l'immobilismo basta il ritorno di un ragazzo che porta con se il suo carico di vitalità».
Difficile, ascoltando Naspini e scorrendo le pagine dense del suo lavoro, non ritrovarvi una smisurata realtà quotidiana anche della nostra Sardegna, dei suoi paesi che silenziosamente cedono il passo allo spopolamento e sembrano incepparsi in una istantanea svilita dal nastro di un tempo che pare essersi fermato.
Dalla narrazione corale, che avvinghia il lettore e lo trascina in una moltitudine di trame e sottotrame, e grazie alla profonda caratterizzazione di ciascun personaggio, dal racconto di Napini emerge il quadro minuzioso ed impietoso di un piccolo borgo chiuso in se stesso e nel suo destino morente, nel quale le contorsioni dell'animo umano disegnano un paesaggio dai tratti meschini, così particolare e così usuale e familiare allo stesso tempo.
Così i personaggi sembra quasi di conoscerli, dal barista al prete sino alla pettegola del paese che sta sempre alla finestra e alla quale non sfugge niente: sono loro ad accompagnare il lettore dentro le storie che si accavallano, ad aprire le stanze segrete delle loro vite, tra verità inconfessabili, omicidi, invidie, tradimenti, aspettative ed esistenze schiacciate da un groviglio inestricabile condensato dentro mura invalicabili.
«Il punto era indagare e raccontare l'uomo – dice Naspini ripercorrendo la genesi del romanzo – e per farlo mi piaceva l'idea di un borgo chiuso. Ho iniziato a scrivere utilizzando la prima persona, come se fosse un diario, quello di Samuele, il ragazzo che torna al paese dopo essere stato nel mondo di fuori e ne sconvolge gli equilibri. Poi di colpo sono emersi altri personaggi, altre storie. Così ho deciso di mettere il protagonista sul fondo, nelle retrovie, e di far emergere tutti gli altri personaggi. Questo ha sconvolto la prospettiva. Pensavo ad un bicchiere d'acqua e ad una goccia d'inchiostro che vi cade dentro o ad un veleno a rilascio lento, ed è così che emerge nella storia il ritorno al borgo di Samuele».
Un romanzo corale che contiene sfumature da thriller psicologico, da giallo, da favola nera, ma che apre anche ad una inaspettata storia d'amore: «le Case mi ha permesso di attingere a tante suggestioni – ha concluso Sacha Naspini – è una somma dei modi diversi di affrontare la narrativa».