Bari, dicembre 2013. L’ ispettore della Squadra Mobile Gregorio Gerri Esposito, bello e impossibile, svagato e presuntuoso, vive un esilio autoimposto. È nato e cresciuto a Napoli, prima in un campo zingari, presto abbandonato dai genitori (madre scomparsa dopo avergli detto “aspettami” sotto la pioggia), poi in un collegio orfanatrofio gestito da due persone brave, il prete di strada don Mimì e la suora laica Adelina, ormai morti. Si sente ovunque fuori posto, senza legami e senza senso. Abita solo, frequenta varie donne con affetto, senza riuscire a stringere amori duraturi: non con la bellissima collega romana Sara Coen (la relazione ha lasciato a entrambi un reciproco rifugio, ma ormai bisticciano sempre), non con la splendida prostituta nigeriana Milly (o Jamilah o Emily o Emilie, lei ormai non lo fa pagare, ma ha un figlio in istituto e ben altro cui pensare per sopravvivere), non con la minorenne Lavinia (sono lontani e probabilmente è meglio vi restino); né con altre cui piace o che lo attirano. Proprio la notte di San Nicola arriva sulla scena di un delitto nella città vecchia: la giovane Caterina Ketty Camarda è stata uccisa da più mani (in tempi successivi), dopo aver fatto l’amore consenziente e aver subito più di un’aggressione; era incinta e aveva due figli (che trovano chiusi nella cassapanca). Entra subito in intensa relazione con la più grande, Jennifer (cinque anni), che gli confida chi è stato, il padre Nicola, biondo alto e con gli occhi azzurri, pessimo compagno della madre (non il nuovo fidanzato Pasquale) e si fa promettere che se lo prende lo uccide. Aleggiano tutt’intorno una selva di personaggi (e rispettive famiglie): soprattutto padre e fratello di Ketty, madre fratello sorella padre di Nicola, e l’antipatico giovane pm milanese incaricato di seguire il caso insieme al vicequestore aggiunto Alfredo Marinetti, capo e padre putativo di Gerri alla terza sezione…
L’archeologa e storica dell’arte pugliese Giorgia Lepore prosegue con successo la bella serie in terza persona (quasi fissa) sul suo inquieto Gerri, sempre sospeso fra passato e presente, infanzia zingara o sola e bimbi incontrati in affanno ora. Per ragioni diverse, ha frequenti dolori a spalla, gamba, testa, e sente spesso pure i dolori degli altri; a volta risulta odioso scocciato nervoso assente, altre volte calmo paziente comprensivo suadente. Gerri si porta dietro confusamente tutto del suo passato, spesso attraverso sogni, flashback, analogie. Ogni altro personaggio (seriale oppure occasionale) risulta comprimario. Eppure, continuiamo a non sapere tutto di lui: intuiamo zone d’ombra, vuoti, buchi neri (che sono in parte nel passato di ciascuno). Non solo le indagini ma l’insieme delle sue relazioni sociali (con o senza parole) affondano lontano nel tempo e debbono risultare funzionali a un percorso di presa di coscienza e di messa a fuoco di tutto ciò che lo incatena all’infanzia. Non a caso cerca di fissare quanto più possibile su carta, affronta ogni caso arrovellandosi su complicati schematici appunti, chi dove come quando perché, disegni simboli nomi lettere asterischi frecce riquadri, colori ed evidenziazioni varie. E la narrazione noir non prevede mai azioni in diretta, gialle o hard-boiled che siano: quando sta per accadere qualcosa passiamo al momento in cui qualcuno (lui in genere) lo ripensa o lo narra, dopo. Si tratta, dunque, di storie (volutamente) circonvolute. Intrattenimento molto godibile per lettori assorti e accorti, non distratti da enogastronomia e consumi dominanti. Gerri odia il pesce, ha in libreria tanti volumi sui rom e ascolta tutto Vinicio Capossela. Il titolo deriva da un proverbio arabo, “le nuvole sono una promessa. L’adempimento è la pioggia”, accompagnato ovviamente (nella dedica) dal capolavoro di Dürrenmatt, appunto sulla promessa (difficile da mantenere).