Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Nome di battesimo: Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 6 dicembre del 1973.
Penso che sia uno degli incipit più chiari, distintivi e forti come un colpo al cuore: l’effetto è come i famosi <> di Marquez o <> di Tolstoj. Eppure non stiamo parlando di un classico, bensì di una piccola perla che si è fatta grande grazie al passaparola degli autori e al suo indiscutibile fascino: Alice Sebold aveva già pubblicato Lucky nel 1999, edito in Italia nel 2003 con le Edizioni E/O, ma non aveva destato particolare scalpore in mezzo alle migliaia di opere memorialistiche e autobiografiche scritte da donne. Ci voleva un romanzo che, pur basato sulle stessa fondamenta del primo, fosse suggestivo e al tempo stesso leggero, ed ecco nel 2002 Amabili resti, perfetta traduzione dell’originale Lovely bones.
Nel 1981, mentre era studentessa presso la l’Università di Syracuse (NY), la giovane Alice venne aggredita e violentata. Tutta la sua (scarsa) produzione rilegge e rielabora questa esperienza e la sua prova più alta è senza dubbio Amabili resti. Il romanzo è diventato subito, e a ragione, un caso editoriale ed è una delle testimonianze di maggior peso riguardanti lo stupro. Oggi se ne parla purtroppo tutti i giorni e a tutte le ore, perciò non mi soffermerò su un danno sociale che andrebbe analizzato in laboratorio.
La forza del romanzo, infatti, è non dare allo stupro la capacità di distruggere la vittima, in questo caso la quattordicenne Susie Salmon. Susie è una ragazzina come tante altre ed è meravigliosa vederla nella sua normalità: vuole diventare fotografa naturalista, legge <> e si mette lo smalto alle unghie. La violenza più grande del suo aggressore, l’inquietante vicino di casa George Harvey, sta nell’averle tolto la possibilità di essere amata nel corso della sua vita: Susie rimpiange di aver baciato solo una volta l’amatissimo Ray Singh, il primo esempio di poser indiano mai visto, e salta di gioia nell’assistere, dal suo Cielo, alle vicissitudini sentimentali e non della sorella Linsdey, dotata di un Q.I. più alto della media e di una bellezza fuori dal comune.
Inoltre, il romanzo approfondisce questioni realistiche che rendono perfettamente il dramma di una famiglia e di una giovanissima vittima e trova un punto di vista interessante per raccontare una storia che, altrimenti, sarebbe stata blanda: Susie assiste agli anni che passano sui suoi cari e sugli amici e noi con lei. Dalle reazioni dei genitori alla morte della primogenita (la preferita del papà) fino al disfacimento e al ricomporsi di un matrimonio, dall’elaborazione del lutto da parte dei fratelli e il loro dover fare i conti con una presenza/assenza ingombrante fino alla vita parallela dei conoscenti.
Infine, è un’occasione rara di leggere di morte, spiriti, fantasmi e paradiso senza pregiudizi religiosi. La versione della Sebold è convincente e ciò le dà ancora più punti per questo romanzo forte e delicato al tempo stesso: esiste un Cielo per ciascuno di noi, dove possiamo trovare tutto ciò che abbiamo sempre voluto; possiamo parlare con altri defunti e sbirciare nel mondo che abbiamo lasciato, per vedere o farsi vedere, per lasciare indizi o fare una passeggiata malinconica in mezzo alla gente che abbiamo amato. L’idea che Susie intervenga di continuo nella vita dei viventi e che usi la sua amica Ruth, la strana della scuola, naturalmente dotata di una capacità medium, è fantastica.
Non dirò che leggerlo rende felici. È un libro commovente, drammatico e a tratti distruttivo, ma il dolore che si prova non è fine a se stesso né il finale ci lascia con un’angoscia irrisolta. Perché il lato positivo delle macerie è che poi ci si può sempre costruire sopra.
Un abbraccio,
Betta
P.S. Il titolo è entrato nelle case italiane grazie soprattutto al film che nel 2009 Peter Jackson, già regista del Signore degli Anelli, ne trasse. Cast perfetto, regia magistrale (Jackson non si è limitato a Hobbit e anelli del potere, per chi non lo sapesse… vedasi Fuori di testa del 1987, Creature del cielo del 1994 e King Kong del 2005) e sceneggiatura di qualità: diverge dal libro, in meglio o in peggio a seconda dei gusti, per la maggior crudezza nelle scene. È un film straziante.