Le Case è un borgo su cui dominano le vette di Punta San Martino e delle Due Ali, la chiesa alta e la Torre dell’orologio. È spaccato in due dalla Via di Mezzo, che finisce nella Piazza del Mercato, accanto alla chiesa di San Bastiano, e porta al paese nuovo, giù a valle, dove ci sono la tabaccheria Staccioli e il bar Rodolfo. Guardando i monti e partendo dall’alto a sinistra della Via di Mezzo ci sono la casa di Giovanna “Giovannona” Ginanneschi ‒ zitella obesissima che a furia di stare a dieta sviene e la raccoglie Mimmo, che l’adora da sempre ‒, l’albergo Bel Sole (prima Villa Cutini) dove sta Susanna Cocchi, le case di Alvise e Iolanda Barberini e Graziella Serri, cartomante, il bar Due Porte, la casa di Piera Del Casino, la bottega di Mario, le dimore della famiglia Palazzesi, di Emilio Salghini, medico, e, in fondo al curvone, quella di Domenico Fiorani, contadino da sempre, si diceva innamorato di Giovannona. A destra della Via di Mezzo vivono il parroco, Don Lauro, che ogni tanto ruba dalla cassetta delle offerte e beve perché non ce la fa più, Adelaide Franci ‒ che poveretta è tanto malata ‒ e Mario Silvestri, Niccodemo Tempesti, Angiolino Serraglini, Renato Staccioli, Samuele Radi, Divo Valenti, minatore in pensione, e Mariella Mantovani, casalinga, Adele Centini vedova Isastia, Sonia Antichi, casalinga vedova di Achille Serraglini, gemello del succitato Angiolino, a cui però “piace prenderlo dalle tasche di dietro”, e la famiglia Bianciardi ed Eleonora Borghi. E basta. Tutto qui. Eppure è un crogiolo di malmostosità…
Le Case è un paese antichissimo in Maremma, scavato nella roccia, da molto prima che arrivasse la bonifica. Ma è anche un po’ Twin Peaks e un po’ Peyton Place: un microcosmo colorito in cui torna Samuele, che ci è nato e cresciuto ma poi se n’è andato. E ora invece è tutto un riaprire la vecchia casa, l’Esedra, spostare i mobili, solleticare gli ardori di qualcuno dietro le persiane e innescare una ridda di voci, scoperchiare vasi di Pandora rimasti confinati in fondo alle cantine per tempo immemore. È un romanzo corale avvincente, divertente, coinvolgente, molto intenso e interessante, redatto in una lingua che mescola con sapienza il vernacolo alla letterarietà e i generi tra di loro, quello di Naspini, editor e art director grossetano, che descrive vividamente una realtà insieme credibile ma anche ironicamente simbolica che evidentemente conosce e di cui ascolta bene e davvero le parole, in cui in un pugno di metri ci si ama, si odia, si mente, si ammazza, si disprezza, si dilapidano patrimoni, si medita vendetta, si parte, si torna, ci si salva, ci si perde, si tradisce, si ruba, si cerca di ricominciare, si spettegola, ci si raccomanda a Dio, si vendono i figli, ci si attacca alla superstizione come a un’ancora di salvezza, si gode se agli altri le cose vanno male. E più vanno male più si gode.