Non si vive bene sulle creste della Maremma, località Le Case: se non altro perché non vi nasce più un bambino da trent'anni. I pochi artigiani, se hanno bisogno di personale ricorrono al popolo dalla testa grossa e dalla fronte bassa, gli albanesi, che ne approfittano per sedurre le donne più belle.
Sono gli indigeni, però, a nascondere dietro le tendine delle loro abitazioni da presepe i romanzi meglio intrecciati. La vedova Isastia, per esempio, vive come se possedesse ancora le rendite di un colonnello («studiava la guerra che aveva perso») sposato grazie alle manovre della madre. O Samuele, «il depravato di via dell'Incrociata» riapparso con l'omicidio di una ragazzina sul groppone e in tasca l'assoluzione del magistrato; spia tolleranti comari che si spogliano dalla sarta - visto che è ufficialmente scemo «è come farsi guardare da un cagnolino» - ma a volte cede alle voglie di una vecchia pronta a sbottonargli i pantaloni. Non mancano il bottegaio innamorato della giovane commessa - «taglia il salame e pare che sfogli il libro delle novelle» - né un parroco insonne che rifiuta il conforto delle medicine, costantemente preso in giro dal farmacista: «Un'Ave Maria non ha mai smorzato i nervi a nessuno. Le benzodiazepine sì». Aggiungete un bar, una piazza, una tabaccheria e avrete il classico paese italiano di mezza collina dove allestire lo spettacolo di quello che sembra un prisma di biografie illuminato dall'ironia. Si rivelerà un incubo combinatorio, con tessere fornite dal Grand Guignol. Il paese è sovrastato da un curvone difficile da prendere sotto il quale cresce un oliveto. Il proprietario, detto «il marchigiano», dovrà pur rifarsi delle piante fracassate dalle automobili che sfondano il guardavia. Se poi la rapacità spinge il contadino a cospargere l'asfalto di un sottile strato di ghiaino capita che che ogni tanto si possa andare in città a vendere gli orologi e i gioielli sottratti ai moribondi, lasciati ad agonizzare senza chiamare l'ambulanza. Quale migliore allegoria della fortuna? Che in effetti si dedica spesso a rovesciare tonnellate di ghiaia sui tornanti della vita...
Sconcio come Rabelais e con puntate nel campo dell'osceno, ne Le Case del malcontento (edizioni e/o, pagg. 458, euro 18,50) il grossetano Sacha Naspini, classe 1976, mescola la favola, la storia di fantasmi, il nido di vipere à la Muriac, disponendo delle sterminate risorse racchiuse nella saggezza popolare. È un mondo dove non si dice «sono passati due anni», ma «ho già gettato due calendari nel camino». Domina il gusto per la risposta sarcastica e l'epiteto assassino, gli affilati coltelli con cui i semplici fanno a pezzi ogni vanità, arrivismo, "posa". Gli attori di questa fenomenale commedia nera esistono solo in quanto i loro vicini di casa non cessano di smascherarli, maledirli, calunniarli. Altro che sogni: sono fatti della stessa materia dei più feroci pettegolezzi.