Ciò che ti coinvolge e travolge nel romanzo di Lia Levi, che è molto di più di un percorso di memoria (Questa sera è già domani, edizioni e/o) è il nodo di due sentimenti fortissimi - amore e tradimento - che spadroneggiano come in un romanzo di sentimenti fra pagine dove ti aspetti soprattutto fascisti, poliziotti, delatori, burocrati conformisti, personaggi vili di un mondo in cui sono entrate in vigore all'improvviso le "leggi razziali".
Ed è apparso su tutte le prime pagine il manifesto "Per la difesa della razza" firmato non solo da personaggi ignobili e ignoti, ma anche da "grandi nomi" del tempo, ciascuno dei quali avrebbe potuto fermare il delitto.
In Questa sera è già domani, la narratrice è dislocata in un luogo in cui sa e conosce il dopo di ciascun momento della narrazione. Ma racconta in modo da non anticipare nulla, perché i suoi personaggi sono, allo stesso tempo, creature tenaci e deboli, con una identità forte che smargina verso la nebbia di eventi incomprensibili, con un coraggio che c'è, che manca, che torna, in quel modo per ciascuno di noi imprevedibile che, con autocompatimento, chiamiamo "la nostra umanità" e che ci consente di capirci e di assolverci quando abbiamo sbagliato.
Emilia, Marc, Alessandro capiscono molto e sbagliano molto, mentre tentano di affrontare la strana e sconosciuta marea che invade all'improvviso non tanto, non solo le case o il lavoro, quanto la parte intima e profonda della identità e della vita. Uno shock fortissimo li tormenta: stanno subendo il tradimento, nella sua forma più infima, una offesa pubblica e folle che lascia a lungo incredulo chi ne è colpito. Ma la grandezza del tradimento si può misurare solo contro la forza di un legame d'amore improvvisamente e barbaramente reciso. È il legame d'identificazione profonda e totale con un Paese che improvvisamente abbandona e respinge.
Per questo dirò che r!è qualcosa di più e di diverso in questa vicenda di ebrei italiani travolti dal fascismo. Come in un romanzo d'amore, l'autrice ti porta a vivere e condividere l'offesa di quell'abbandono.
È la prima volta che una parte (spregevole) di storia patria diventa storia grande e tumultuosa di sentimenti e di vite umane.