Sicuramente Michel Déon si sarebbe molto divertito della polemica scatenata dal rifiuto della sindaca di Parigi di dargli un posto in cimitero. Una polemica che ha mobilitato cento celebrità francesi di ogni sfumatura politica, da Onfray a Carrère, da Houellebecq a Fumaroli, e che è finita con la resa delle autorità. In realtà Déon, morto a 97 anni nel 2016, non aveva troppo amato Parigi, a cui aveva sempre preferito la Grecia e l'Irlanda. Di sicuro una tale concordia avrebbe stupito un uomo che ha sempre coltivato uno dei piaceri più pericolosi e intensi, quello di stare dalla parte sbagliata. Per questo continuava a dichiararsi monarchico e a rivendicare il suo passato accanto a una grande, inquietante figura della destra, Maurras.
Anche fisicamente, Déon non sembrava un intellettuale, ma piuttosto un aristocratico viveur. Insomma quanto di peggio potesse esserci nel mondo delle lettere del dopoguerra. Come se non bastasse aveva aderito prontamente al gruppo degli Ussari che contestavano l'egemonia di Sartre e la poetica dell'impegno. «Forse abbiamo avuto il merito di avere reintrodotto in romanzo il piacere e la malinconia di vivere, una certa dignità davanti all'opera della morte». In realtà Déon era estraneo anche a quella pattuglia sconsiderata di cui ammirava soprattutto il coraggio. Lavorava molto, nei giornali e nelle case editrici, per mantenere in una casa di cura la madre malata. Amava fervidamente la natura e i luoghi del suo esilio volontario, anche se, scherzava, la prosperità si è abbattuta sull'Irlanda come la pedofilia sul basso clero».
Pony selvaggi, uscito nel 1970 e ben tradotto da Alberto Bracci Testasecca per E/O, aveva scatenato molte polemiche, ma aveva avuto un imprevedibile successo tra i giovani, stanchi della cappa ideologica regnante. Rileggendolo, nel 2010, Déon l'aveva trovato pieno di difetti e gli aveva dato un salutare «colpo di spazzola». Nel 1937 cinque ragazzi, due inglesi e tre francesi, stringono all'università di Cambridge un'amicizia destinata a persistere durante e dopo la guerra. Il risultato è un intreccio fitto di colpi di scena e di amori controversi, narrati da uno scrittore incantevole e disincantato che sapeva che gli uomini «sono stupidi e cattivi e per questo Dio non ha voluto che fossero immortali».