C'è una bella immagine dell'ultimo libro di uno dei maggiori autori francesi, Patrick Rambaud, che si attaglia perfettamente alla trilogia veneziana di Roberto Tiraboschi, il cui ultimo volume, "L'angelo del mare fangoso" (Edizioni E/O, p. 315, 16,50 euro) è stato presentato a Venezia, alla libreria Goldoni. Rambaud ambienta il suo romanzo nella Venezia delle origini e lo intitola, prendendo spunto da Boccaccio, "Quando Dio imparava a disegnare", intendendo che c'è stata una Venezia prima della Venezia che tutti conosciamo, una Venezia ancora in fieri, non la città straordinaria ed elegante, raffinata e razionale, ma un agglomerato di isole ancora confuso, selvaggio, abitato da uomini e forze non ancora incanalate. Dio poi ha imparato a disegnare e Venezia è diventata Venezia, «il più bel disegno - come diceva Brodskij - che il tempo abbia lasciato sulla terraferma, in qualsiasi parte del globo». Roberto Tiraboschi ha il grande merito di aver riportato l'attenzione, appunto, non sulla Venezia rinascimentale o settecentesca, quella che è negli occhi di tutti, ma sulla Venezia originaria, quella in cui si stava ancora finendo di completare San Marco, si metteva mano a Palazzo Ducale, non si scavalcava il Canal Grande con il ponte di Rialto e così via. Lo ha fatto con una trilogia noir, se così vogliamo definirla, che comincia con "La pietra per gli occhi", ambientato nel 1106 e finisce, o almeno dovrebbe finire, con questo "L'angelo del mare fangoso", che è ambientato nel 1119. Da un romanzo all'altro rimangono, e in qualche caso ritornano alcuni personaggi: rimane per esempio il copista Edgardo, che è il protagonista della trilogia col suo fisico sgraziato e la carenza visiva che nel primo libro lo porta a scoprire gli occhiali. Ritorna Magister Abella, medico donna in un'epoca in cui le donne stanno rigorosamente a casa. E poi Tataro, catarroso soffiatore di vetro, nemico giurato della nuova moda del vetro trasparente. E ancora Magdalena Grimani, mercante per necessità e per indomito coraggio. E infine Kallis, schiava nel primo romanzo e ora, travestita da uomo, mercante egiziano.
Come si intuisce dai personaggi, la scrittura di Tiraboschi, che è anche sceneggiatore e drammaturgo, si muove tra il romanzesco e lo storico, e questo vale tanto più in questo terzo romanzo del ciclo. Il romanzesco sta nei travestimenti, negli inganni, negli amori improvvisi e passionali, negli intrighi politici e commerciali. Lo storico è nella descrizione puntuale della Venezia delle origini, condotta mappe alla mano, cercando di capire quel che c'era e non c'era allora. Nei personaggi storici, come il Doge Domenico Michiel. Ma anche nella descrizione di un popolo che sta ancora costruendo la sua civiltà. E allora ecco la credulità popolare, il reale che diventa fantastico, la cronaca fattuale che diventa leggenda. E poi le cerimonie che Tiraboschi ricostruisce, nel mentre i suoi personaggi si affannano per sopravvivere a un potere che li coinvolge nelle sue trame. Perché in "L'angelo del mare fangoso" prevale il romanzesco, forse perché ormai l'ambientazione è delineata dai primi due libri e si tratta solo di aggiungere particolari. E tuttavia una novità anche descrittiva c'è, ed è la stagione. Negli altri due romanzi la dominante era l'acqua che inondava le strade, perlopiù non ancora pavimentate, e colorava di grigio la città. In questo romanzo invece, i tanti fili di storie, che si riuniscono intorno a un omicidio, si svolgono in una Venezia inaridita dal sole, polverosa, estiva anche se poi l'acqua torna e ripulisce tutte le incrostazioni di una brutta storia che Tiraboschi racconta in una bella lingua: mai banale, insaporita di veneziano e di qualche colore d'epoca, ma senza mai cedere al folkloristico.