Quando si apre la prima pagina de Le Case del Malcontento di Sacha Naspini, sembra di stappare una bottiglia di vino, rosso e scuro. Un odore di muffa e cantina prende il naso, riportandoci a certe estati dimenticate passate al paese dei nonni, alle case di pietra, le poche parole, alla sirena della mezza che chiamava il mezzogiorno anche per chi lavorava nei campi e dava inizio al pranzo.
Quasi un sogno, poi ci si sveglia. Il malcontento del titolo, dopo poche pagine, spazza via subito l’idea che sia semplice insoddisfazione. È qualcos’altro che tiene i paesani inchiodati lì, a osservarsi l’uno con l’altro, in quelle case che erano state tormentate dalla guerra, piene di passaggi per spiare e segreti più o meno dimenticati. È una follia che lega a sé ogni cosa, una crudeltà nella rappresentazione della vita che avrebbe fatto piacere ad Antonin Artaud.
Scritto con una voce aspra e forte (e invidiabile aggiungo io), coerente dall’inizio alla fine, un linguaggio popolare e letterario insieme, giusto per far parlare un paese maremmano, Le Case, che è il protagonista del romanzo di Sacha Naspini. E il paese parla attraverso i suoi abitanti.
Le vicende personali, appiccicate l’una all’altra come tegole che devono coprire un tetto, s’intrecciano in quelle collettive con l’unico collante di essere separate dal resto del mondo per stendere un bilancio della propria esistenza, dove raramente quello che sembra corrisponde a quello che è davvero. Chi cerca di andarsene non può farlo, non realmente, perché se una tegola si muovesse lascerebbe le altre sguarnite, all’acqua e al vento, e crollerebbe tutto.
Le case ti prende, da subito. Il sospetto che a osservarti da dietro le imposte ci sia molto di più di un vecchio paesino che si sta svuotando per vecchiaia, si fa strada pagina dopo pagina fino a entrare nelle trame, nelle vendette a volte feroci, nelle vite che si consumano attaccandosi a tutto, sfinite dal proprio cinismo, mentre la roccia sotto le fondamenta si muove di continuo per scrollarsi di dosso i parassiti che la tormentano.
È adatto a tutti? Questo non lo so. Il linguaggio è sanguigno, ci chiama dentro il nucleo della comunità, il viaggio tra queste vite (a volte) è un giro nell’orrore, non quello finto e cinematografico, ma quello vero che abbiamo intorno senza saperlo e tutto questo potrebbe allontanare i lettori patinati (e un po’ addomesticati) di oggi.
Mettiamola così.
Pensate che i romanzi nordici, pur scritti benissimo, siano un po’ algidi e insomma avrebbero stufato con i loro paesaggi lindi e innevati? Avete voglia d’infilare i piedi nel fango di casa nostra, di sentire il sudore del lavoro che si gela addosso la sera e tirare quattro bestemmie quando ci vogliono anche quelle? Sì, sì buono il prosecco, ma un vino scuro e malmostoso, di corpo e d’anima che faccia girare la testa? Siete scrittori in crisi? Leggete uno dietro l’altro i classici moderni e vi sfinite con gli americani senza mettere insieme lo straccio di un’idea nuova? Avete bisogno di mettere un po’ di carburante nel vostro motore? Siete disperatamente alle prese con la trama improbabile del vostro prossimo noir?
In tutti questi casi vi straconsiglio Le Case del Malcontento, un romanzo fuori dagli schemi, fuori misura, fuori portata. Scritto da un Sacha Naspini in gran forma. Uno di cui sentiremo parlare parecchio…