L'Europa in preda alla minaccia nazista, agli albori della Seconda guerra mondiale, è il palcoscenico di Una viennese a Parigi, uno dei più importanti romanzi del grande scrittore austriaco Ernst Lothar, che visse quegli eventi prima di essere condannato a un feroce ostracismo. Uscito negli Stati Uniti nel 1941 con il titolo A woman is witness, il libro avrebbe visto la luce in Austria, soltanto un decennio più tardi, a guerra ormai conclusa.
La prima edizione italiana, pubblicata adesso dalla casa editrice e/o con la traduzione di Monica Pesetti, colma un vuoto e contribuisce a far conoscere uno dei principali interpreti della letteratura mitteleuropea del '900. Scrittore, regista e critico teatrale di origini ebraiche, autore di una ventina di romanzi e di numerosi saggi, nel 1938 Lothar fu costretto ad abbandonare il suo paese a causa del regime hitleriano, riparando in Svizzera, poi in Francia e infine negli Stati Uniti.
C'è molto di autobiografico in questo romanzo che rappresenta un ammonimento nei confronti degli ignavi e degli scettici che all'epoca non vollero riconoscere il pericolo nazista ma è anche una testimonianza sugli esuli di guerra, dei quali l'autore ritrae magistralmente lo spaesamento e il senso di colpa. Franzi Langer, la protagonista del romanzo, assiste proprio come Lothar all'Anschluss, con il quale nel marzo 1938 Hitler si appropriò dell'Austria. Al contrario di buona parte degli austriaci, che subiscono l'invasione con un misto di cecità e impotenza, Franzi decide di abbandonare il suo paese pur non essendo ebrea, perché non sopporta l'idea di vedere i nazisti calpestare il suolo austriaco. Lascia Vienna e si fa trasferire a Parigi, in un ufficio di corrispondenza della casa di produzione cinematografica per cui lavora. In Francia lo spettro nazista è lontano e tutto le appare diverso: la gente è libera, non c'è il rischio di venire denunciati dal proprio vicino di casa. Nel suo esilio volontario si innamora di Pierre, un giornalista francese, ed è difficile immaginare che appena due anni dopo, nel giugno del 1940, Parigi e il nord del paese sarebbero stati occupati dalla Wehrmacht. Sulla coscienza di Franzi grava però il peso di quella scelta. Si chiede se avrebbe potuto fare qualcosa, se non sia da codardi abbandonare il proprio paese nel momento del bisogno. Interrogativi che si alternano al risentimento nei confronti dei suoi connazionali che hanno accettato l'annessione «con una remissività inconcepibile ». Quando anche la Francia cade nella morsa del Terzo Reich, Franzi ravvisa nei francesi la stessa passività degli austriaci, e alla fine sarà la guerra a cancellare tutto: dubbi, sogni, speranze. E vite. Una viennese a Parigi è un'opera di radicale dissenso con la quale Lothar intendeva risvegliare le coscienze e condannare l'acquiescenza nei confronti dell' orrore, un intenso affresco di un'epoca lontana dominata dall'inquietudine e dalla paura, che oggi suona come un monito postumo.