Quando allo scorso Salone del Libro di Torino Claudio Ceciarelli, editor e/o, mi ha annunciato le novità in pubblicazione, a un certo punto ho colto nel suo tono un orgoglio trattenuto a stento: aveva iniziato a parlarmi dell’ultimo romanzo di Sacha Naspini, Le Case del malcontento. Ne ero dunque incuriosito, anche se il legame che si instaura tra un editor e un’opera sulla quale è intervenuto prescinde talvolta dal suo valore letterario.
Sono bastate le prime pagine per farmi deporre lo scetticismo e le successive mi hanno confermato che è realmente un romanzo ironico e angosciante, che a più riprese assesta mirati manrovesci al lettore, sino al colpo di scena finale.
Sacha Naspini, che aveva già pubblicato altre opere narrative, scrive per il cinema e molte sono le suggestioni del grande schermo (da Dogville a Il vento fa il suo giro), ma soprattutto è nato nel 1976 a Grosseto e sembra conoscere molto bene la provincia: Le Case è un borgo immaginario della Maremma i cui abitanti condividono alcuni tratti dei personaggi di una favola nera e altri delle persone imbastardite con le quali ogni giorno abbiamo a che fare, e che forse noi tutti siamo diventati. L’autore dà voce a ciascuno di loro, ma più ancora che la varietà dei registri stilistici si fa apprezzare la costruzione corale ben orchestrata, che fa rivivere le stesse vicende da prospettive diverse e spesso spiazzanti, lungo un arco temporale che va dal primo dopoguerra alla fine degli anni ’90.
Facciamo così la conoscenza di minatori in pensione, bottegai, medici, contadini che talvolta hanno trasformato le ferite inferte dalla vita in veleno da somministrare a chiunque gli capiti a tiro; e ancora: casalinghe maliziose o inacidite, vedove di nobili decaduti, creature affette da patologie fisiche e mentali o ridotte a fantasmi. Naspini li dispone come pedine degli scacchi, gioco al quale in molti a Le Case si dedicano, e li fa muovere intorno a due giovani che calamitano le attenzioni di ciascuno e che nell’ultimo terzo dell’opera occupano interamente la scena. Eppure non son loro i protagonisti ma il piccolo paese che dà il titolo all’opera, Le Case: «un cuore nero piantato in mezzo al pancione di Maremma, che si traveste piena di sogni e dopo te lo ficca nel di dietro a brutto muso».