Le donne e il noir sono come una coppia appena sposata che cerca di trovare il suo equilibro. Le prime hanno iniziato a pretendere di fuoriuscire da ruoli ormai obsoleti e fuori moda, mentre i polizieschi stanno accogliendo, piano piano, queste nuove protagoniste.
La strada da fare è ancora molto lunga per poter considerare questa unione come riuscita e felice. Le donne si stanno insinuando in questo circolo maschile di altri tempi e lo stanno facendo sia come scrittrici che come personaggi. L’autrice con cui abbiamo continuato la conversazione su questa nuova tendenza nel mondo di investigazioni e omicidi è Elisabetta Bucciarelli.
Com’è nata l’ispettrice Maria Dolores Vergani?
Mi serviva un punto di vista sul mondo, altri due occhi per guardare cosa succedeva intorno a me. Ho trovato lei, un insieme di tratti caratteriali che mi piacevano in un corpo che era la somma di alcune donne incontrate nella mia città. È intelligente e sensibile, interessata alle vittime e ai moventi. Soprattutto capace di porsi domande, qual è la differenza tra verità e giustizia o cosa ci spinge a perdonare e perché dobbiamo farlo
In Dritto al cuore (E/O edizioni) la sua Vergani dimostra di essere un’ottima osservatrice, ha un carattere forte, combatte la violenza contro le donne, è una donna contemporanea. Per molto tempo un personaggio come il suo non è esistito nei polizieschi. Perché?
Non ho la risposta esatta, ma credo che la caratteristica principale di Maria Dolores Vergani sia nella sua assenza di trasgressività. Non è violenta, non è arrabbiata, non ha vendette da portare a termine. È una donna normale, che vive del suo lavoro e coltiva le proprie legittime ambizioni. Non si accontenta e non ostenta atteggiamenti provocatori o forzatamente anti stereotipo. Questo la rende sicuramente diversa e distante da molte protagoniste, anche straniere, dei romanzi di genere. È gentile, riflette, non grida e non è sanguinaria. Lavora per sottrazione, non concede sfogo alle rabbie personali, è un personaggio complesso e difficile, assomiglia a molte donne che conosco e che stimo.
Crede che ci sia un cambiamento nel mondo del noir o che il noir abbia seguito la trasformazione della società?
Credo che la letteratura noir sia stata in grado di raccontare alcuni aspetti della nostra società meglio della cronaca sui giornali. Ma penso che in questo momento non sia più così. O meglio, qualcuno ci prova ancora, ma non è più credibile come qualche anno fa. La verità è che non sappiamo più a chi e a cosa credere. Dunque sembra tutto falso, artificioso. C’è una gran confusione tra fiction, autofiction, realtà, realismo, verosimiglianza. Ci sono in circolazione molte storie già lette, la tendenza a ripetersi anche dal punto di vista psicologico. In più abbiamo bisogno di ridere, divertirci, esorcizzare il male e il disagio in cui siamo immersi. Forse ci serve più giallo divertente che noir, più legal thriller e horror-polizieschi. C’è stato un momento i cui collane come Verdenero di edizione Ambiente riuscivano a intercettare problemi sociali forti e importanti e agli autori veniva dato un motivo necessario per esprimersi e scrivere. Sono orgogliosa di aver preso parte a progetti simili. In questo momento stanno cambiando le regole del gioco narrativo, il noir è nelle storie vere, personali, al limite dell’autobiografico. Il noir è fuori dal genere noir.
Il noir e i gialli sono più lenti persino della nostra nazione, che in quanto ad emancipazione femminile non brilla per rapidità. Donne medico legale, pm e nelle forze dell’ordine ce ne sono da decenni, ma nei libri si fa ancora fatica a trovare personaggi credibili…
È vero. Non sempre gli scrittori sono in grado di inventare nuovi modelli da contrapporre a quelli della società. Ci vorrebbero dei visionari, capaci di intercettare i segni di un cambiamento o di immaginarlo prima che accada. È più semplice e commerciale lavorare sugli stereotipi.
Cosa significa essere un’autrice noir in Italia?
Mi sento un’autrice che studia tanto, legge in continuazione (soprattutto gli italiani) e scrive solo quando ha qualcosa di urgente da raccontare. Mi accorgo che esiste una differenza sostanziale tra la considerazione riservata agli uomini e gli spazi concessi alle donne. Per alcuni anni sono stata tra le poche quote rosa invitata a festival e rassegne di genere, tra le pochissime premiate allo Scerbanenco (4 donne per 23 uomini) e l’unica su venti maschi che ha vinto il premio Franco Fedeli (assegnato dalle forze di Polizia) tra l’altro proprio per il personaggio femminile dei miei romanzi. Questo, al di là di tutto, è un sintomo. Per fortuna non scrivo solo noir in senso stretto, e questo mi sta regalando momenti di autentica felicità.
Crede che anche all’estero permanga un problema di genere, sia per quel che riguarda i ruoli dei personaggi che le scrittrici?
Recentemente in un confronto con autrici molto famose spagnole ho compreso che il problema si pone anche all’estero, tuttavia esistono personaggi femminili significativi e amati, come Pedra Delicado, per esempio, che interpretano il loro ruolo in maniera originale e con un grande successo.
E in Italia il problema di genere è superato o resiste?
La domanda si presta a molte risposte. In Italia esiste un problema di genere maschile versus femminile (e viceversa) ancora molto forte, a questo si somma la considerazione “laterale” del genere narrativo interpretato dalle donne, anche per questo all’interno delle storie si ritrovano le stesse bipartizioni della vita, che apparentemente seguono il gusto dei lettori (dovremmo avere più fiducia in lettrici e lettori). Certo le autrici aumentano numericamente, ma continuano a non “restare” in maniera determinante come i maschi, pur essendo a volte, anche più innovative e decisamente qualitativamente migliori. Nel giallo le cose vanno un po’ meglio, abbiamo Margherita Oggero e Alessia Gazzola per esempio, che vanno in classifica e sono apprezzate da un vasto pubblico, per il nero questo non succede ancora o raramente.
I personaggi come il suo spesso rappresentano uno dei grandi problemi delle donne moderne. Sono spaccate tra famiglia e lavoro, fino al punto da decidere di dedicarsi a una delle due ignorando l’altra. Questa tensione tra i due estremi rappresenta ancora la nostra società?
Dobbiamo ancora scegliere o pagare prezzi alti se non lo facciamo. Questo è un problema culturale prima ancora di essere un limite letterario. Quello che dovremmo fare di più e con un coraggio maggiore è provare a uscire dalle categorie e spingerci dove il terreno è meno sicuro ma dove l’indagine è più affascinante. Così ho cercato di fare per La resistenza del maschio (NN) e per Chi ha bisogno di te (Skira). In entrambi il nero non è nelle vittime assassinate e nell’indagine per trovare il colpevole, ma proprio in quegli stereotipi che portano a uccidere i nostri diritti e le nostre aspirazioni come esseri umani, unici, a prescindere, appunto, dal genere a cui apparteniamo all’anagrafe. La prima cosa che dovremmo fare (con tutti i colori della scrittura) è abbattere le categorie, rifuggire scambismi culturali e compromessi, tenere la schiena dritta e abbassare la testa solo per scrivere i nostri libri, quelli che desideriamo scrivere non quelli che il mercato sembra richiederci, e non permettere che nessuno ci definisca con sguardo superficiale (nella vita come nella scrittura).