Le Case è un borgo che somiglia ad un animale malato, rantola, si gonfia, trema ma non cede, anzi colpisce i suoi pochi abitanti uno alla volta, distribuendo equamente sfortune, follia, povertà, malattia e una grottesca ironia figlia della disillusione. Sacha Naspini dona voce ai tanti protagonisti, tutti abitanti del borgo, qualcuno che è riuscito ad allontanarsi, altri che sono partiti per poi tornare, attratti come falene da una luce che può dettare la loro fine.
Dietro tutto questo, che già di per sé basterebbe a fare di un libro un buon libro, Naspini riesce ad inserire una serie di colpi di scena, tanti segreti, a volte orribili, che il borgo nasconde e che durante gli anni accompagnano le storie personali dei personaggi tessendo una trama che li rende l’uno avvinghiato all’altro, quasi come se le loro vite fossero morbosamente dipendenti. E c’è anche un romanzo nel romanzo, uno scrittore ospitato dal nostro autore, che forse ne è l’alter ego, o forse no.
Una saga che non si limita alle gesta di una famiglia e si allarga a comprendere tutti gli abitanti del paese, a volte viaggiando tra le generazioni, affidando ad ogni voce un capitolo in prima persona, così da rendere ancor più evidente la varietà di punti di vista su uno stesso evento, di follie, che per ognuno acquistano spessore e toni neri che ci mostrano quanto la psiche possa deteriorarsi in un ambiente soffocante e malinconico.
VOTO 30 FERMATE: E’ un libro lungo, ma non vorrete che finisca, ne sono certa. Ad ogni pagina ci sono nuovi dettagli da scoprire per completare un quadro che ricorda le opere di Hieronymus Bosch per la complessità e soprattutto per il senso di disagio ed affascinante orrore che suscita. Da leggere in viaggio, sull’autobus, in metropolitana o a piedi, fate voi. Basta che lo leggiate.
CITAZIONE: “Così ecco la mia versione, caro maresciallo: alla fine la colpa è di questo posto. Le Case è l’albero. I fatti della gente che ci abita dentro, i frutti marci. (…) Il carattere della gente è il carattere di questo mostro che di tanto in tanto dà un fremito, e allora vediamo muovere le tende e i soprammobili sembrano camminare da soli. Per un attimo ci prende una specie di svenimento. Così, tanto per tenerci in bilico. E per dirci che siamo tutti più suoi che nostri. Chi se ne va in tempo si salva. Quelli che vengono ributtati su queste alture tornano mezzi matti. Oppure sono mostri in cerca di silenzio…Infine ci sono tutti gli altri.”