Sua madre, Emilia, aveva sperato che lui fosse un genio, ma Alessandro è soltanto un ragazzo dall’intelligenza precoce, sveglio quanto basta per alternare i fumetti dell’Avventuroso alla lettura dell’Osservatore Romano, l’unico quotidiano che – forte dell’extaterritorialità vaticana – può permettersi di far trapelare qualche notizia veritiera sull’andamento della guerra. Siamo nei primi anni Quaranta. Siamo, anzi, dopo il 1938, l’anno cruciale in cui anche l’Italia fascista promulga le leggi in difesa della razza e Alessandro si rende conto che essere ebrei significa qualcosa di più, e di più pericoloso, che presentare qualche dubbio teologico al rabbino di Genova: l’uomo non sempre si fida di Dio, ammette rav Bonfiglioli, ma ciò non impedisce a Dio di fidarsi comunque dell’uomo. Con Questa sera è già domani (e/o, pagine 224, euro 16,50) Lia Levi aggiunge un nuovo tassello al mosaico sulla storia dell’ebraismo italiano inaugurato nel 1994 dall’autobiografico Una bambina e basta. Questa volta il protagonista, Alessandro, è modellato sulla figura del marito dell’autrice, Luciano Tas, e sulle vicende della sua famiglia. Nel romanzo il cognome di famiglia di Rimon, che in ebraico significa “melograno”, ossia una delle immagini rituali che ornano il rotolo della Torah, come orgogliosamente rivendica il padre di Alessandro, Marc, un intagliatore di diamanti di nazionalità inglese arrivato in Italia dall’Olanda. Attentissima al non detto degli affetti (il difficile rapporto fra Alessandro e la madre è descritto con schietta delicatezza), Questa sera è già domani è un racconto appassionato e privo di cedimenti alla retorica, attraversato dall’invenzione davvero memorabile di un piccolo ciondolo con la stella di David nel quale si riassume ogni pericolo e, insieme, ogni possibilità di salvezza.