“Questa sera è già domani” (E/O, 2018) è il nuovo romanzo della giornalista, sceneggiatrice e scrittrice Lia Levi, nata a Pisa da una famiglia piemontese di origine ebraica e residente a Roma, fondatrice e direttrice per trent’anni del mensile Shalom.
“Le avete viste le notizie? Parlano tutti degli ebrei. Lo sapevate che siamo troppi? Stiamo incominciando anche qui come in Germania?”.
Genova. 1938. In Italia era in atto una violenta campagna antisemita, che avrebbe portato il regime fascista a promulgare, tra il settembre e il novembre dello stesso anno, le leggi razziali, rivolte contro le persone di religione ebraica. La famiglia Rimon, composta dal padre Marc, tagliatore di diamanti nato in Belgio con passaporto inglese, dalla madre Emilia e dal piccolo Alessandro, si trovava nel mezzo di quel vento distruttivo che presto avrebbe cambiato il corso della storia.
Il Manifesto degli scienziati razzisti era apparso incorniciato nel mezzo della prima pagina di un quotidiano con la violenza di un sasso o un pugno che frantuma una vetrata.
“Esiste una razza italiana”
gridava quel manifesto di fronte al mondo.
“Gli ebrei non appartengono alla razza italiana”
e ancora altre parole infette: l’unica popolazione diversa sul suolo italiano risultava quella ebraica. Uomini, donne e bambini, persone come il nonno Luigi, la zia Wanda, la stessa Emilia e Alessandro si sentivano profughi all’interno della propria patria. Le leggi razziali fasciste avevano fatto sì che gli ebrei italiani si fossero ritrovati tutti insieme, “in lugubre corteo”, ad abbandonare frastornati il proprio posto di lavoro. Impiegati e dirigenti, assicuratori e tipografi, maestri, professori, marescialli dell’esercito e fattorini. Via anche il nome dagli elenchi telefonici, perché
“sagome ebraiche nel disegno della società non ce ne dovevano essere”.
Alessandro Rimon, piccolo genio, portento d’intelligenza e cultura, bambino che saltellava con facilità da una classe all’altra, aveva compreso che gli ebrei italiani dovevano andarsene. “Ce ne dobbiamo andare, noi che possiamo”.
“Quando spolveri il sacro ripostiglio che chiamiamo «memoria», scegli una scopa molto rispettosa e fallo in gran silenzio. Sarà un lavoro pieno di sorprese – oltre all’identità potrebbe darsi che altri interlocutori si presentino - Di quel regno la polvere è solenne - sfidarla non conviene - tu non puoi sopraffarla - invece lei può ammutolire te -”.
È una poesia di Emily Dickinson, il significativo esergo del testo che introduce alla lettura di “Questa sera è già domani”, questo emozionante romanzo, che affronta il dramma degli ebrei in fuga prima e durante la II Guerra Mondiale con uno sguardo rivolto al dramma dei migranti.
Allora come adesso, c’è chi è pronto ad accogliere e c’è invece chi non esita a volgere le spalle, a respingere. Traendo ispirazione da una storia vera: la vita dell’amatissimo marito Luciano Tas, a ottant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali in Italia, Lia Levi, autrice di “Tutti i giorni di tua vita”, alla quale nel 2012 è stato conferito il Premio Pardès per la Letteratura Ebraica, rivolge al lettore la domanda:
“Come e con quali spinte interne, l’uomo reagisce ai colpi che la Storia gli assesta?”.
I nazisti perseguitando la popolazione ebraica hanno regalato loro di forza un’identità, che molti non volevano o non ci pensavano per niente. È, dunque, la tradizione il perno di tutto, come ricorda il rabbino Bonfiglioli ad Alessandro.
“Lo so, tu non sei e forse non sarai mai molto osservante, ma la tradizione la senti, me ne sono accorto. La tradizione, sai, è l’albero. La foglia, se non è attaccata all’albero, diventa secca, vola via e dopo poco non è più neanche una foglia”.