“Credo che l’arte in generale, e la letteratura e cinema in particolare, abbiano svolto un ruolo determinante, destinato a non venir meno con il tempo….Sarà la rielaborazione creativa a tenere vivo il passato”. (Lia Levi)
Scrittrice di talento oltre che testimone culturale della memoria dell’ebraismo italiano, Lia Levi è in libreria in questi giorni con il romanzo “Questa sera è già domani” (e/o), ispirato alla storia del marito Luciano Tas, scomparso nel 2014, una delle figure più significative della storia ebraica italiana. Nata in una famiglia ebraica piemontese, dopo l’emanazione delle leggi razziali del 1938 Lia Levi è costretta a lasciare la scuola e a confrontarsi con l’esclusione degli ebrei dalla vita pubblica: una realtà drammatica che, dopo una lunga carriera di giornalista e direttrice del mensile di informazione e cultura ebraica Shalom, inizia a raccontare nei suoi libri, “Una bambina e basta” , “Tutti i giorni di tua vita”, “L’amore mio non può”, “La sposa gentile”, “La notte dell’oblio”, “Il braccialetto” per citarne solo alcuni.
Molti dei romanzi di Lia Levi che le hanno valso premi prestigiosi sono dedicati ai giovani, quei ragazzi che la scrittrice incontra nelle scuole e ai quali trasmette, attraverso le esperienze della sua vita, la conoscenza della Storia che non può mai prescindere dalla rielaborazione delle piccole storie. Traendo spunto dalla vicenda del marito e attingendo allo scrigno della sua memoria, l’autrice ambienta l’ultimo romanzo nel 1932 a Genova, città di tradizione antifascista e partigiana, dove vive la famiglia Rimon che in ebraico significa “melograno”, “uno degli ornamenti in argento dei Rotoli della Legge”. Alessandro, il protagonista, è un bambino dall’intelligenza precoce, capace di leggere e scrivere ben prima dei compagni e in grado di saltare più anni di scuola. Con il passare del tempo però Alessandro - che non si è mai inserito facilmente nelle classi dei ragazzini più grandi - non si trasforma in “genio” perché “la fiammata si era trasformata in una fiammella crepitante, sì, ma a normale, accettabile dosaggio”.
Se Marc, il padre, belga di nascita, inglese di passaporto e francese di madrelingua è la sintesi dei “vigorosi passi che gli ebrei avevano compiuto in lungo e in largo in un’Europa sempre più libera e modernizzata”, Emilia la madre è una donna delusa, sprezzante che cerca invano lo scontro con il marito e con il padre Luigi, ferroviere in pensione che vive con loro, invidiosa della sorella e del tutto incapace di valutare l’allarmante evolversi degli eventi politici nel paese. Nella vita di Alessandro ha un posto speciale la zia Wanda, che gli è molto affezionata e lo zio Osvaldo, ricco commerciante che vanta conoscenze altolocate e rappresenta un punto di riferimento per tutta la famiglia. I Rimon frequentano la sinagoga solo in occasione delle festività più importanti, la loro fede - “davvero tiepidina” come dice il rabbino Bonfiglioli – non influenza le scelte di una vita che scorre tranquilla come quella di tanti italiani, almeno fino all’emanazione delle leggi razziali del 1938.
Da quel momento i provvedimenti contro gli ebrei si moltiplicano: divieto di frequentare la scuola pubblica, di possedere una radio, di avere una domestica ariana, di recarsi al parco pubblico, “come quei goccioloni radi ma già carichi che preludono alla tempesta”. “Si ritrovarono fradici senza neanche essersene accorti. Le leggi diventarono operative ancor prima che fossero pubblicate”. Nonostante tutto molti ebrei italiani continuano a cullarsi nella speranza di superare indenni quella drammatica tempesta. Fra questi c’è Emilia che si rifiuta caparbiamente di lasciare la città e i suoi affetti fino a quando anche l’ultima possibilità di fuga in Inghilterra, grazie al passaporto inglese di Marc, si chiude. Dopo un decreto di espulsione Marc, come cittadino straniero, viene mandato al confino ma nemmeno in quello sperduto paesino ligure la famiglia Rimon può stare tranquilla perché dopo il 1943 la situazione degli ebrei italiani precipita in modo drammatico. L’unica via di salvezza resta la fuga. Superato il primo momento di disorientamento Marc si rivolge al cugino Fausto, esiliato dalla famiglia anni addietro per le sue scelte di vita, che con l’aiuto della compagna Jole organizza la fuga avventurosa dei parenti ebrei dalla città di Como verso la Svizzera neutrale. Un piano di salvezza che costerà ai Rimon tutti i risparmi di una vita. Ma è solo grazie ad Alessandro che mostra all’ufficiale elvetico la medaglietta con la stella ebraica ricevuta in dono dalla nonna Rachele che i fuggiaschi attestando la loro appartenenza al popolo ebraico possono scongiurare il rischio di essere respinti in patria.
“…Non possiamo accogliere tutti, lo comprendi?....Sarebbe un’ingiustizia nei confronti dei veri perseguitati che magari non trovano posto”.
Con uno stile scorrevole dai toni pacati ma vibranti di emozione Lia Levi ci consegna un nuovo tassello sulla storia degli ebrei italiani durante le persecuzioni razziali in un romanzo che, innestandosi perfettamente nella nostra epoca, offre molti temi di riflessione. E’ innegabile che una maggior capacità di cogliere i segnali di una tragedia imminente (“l’ottimismo a ogni costo può anche essere ottusità” afferma uno dei personaggi del libro) avrebbe salvato molti ebrei dalla deportazione, ma noi che viviamo in un’epoca di pace non abbiamo il diritto di giudicare chi si trovava in una congiuntura drammatica, possiamo solo immaginare come ci saremmo comportati in quel frangente. Rimanere nascosti o fuggire finché si era in tempo in un altro Paese? In questa domanda che ha acceso molti dibattiti nelle generazioni dopo la guerra è racchiuso il senso più profondo del libro. Oltre al tema dell’identità ebraica che il regime impone nel segno della razza anche per gli “ebrei di Kippur”, l’autrice affronta con grande sensibilità quello dell’accoglienza e dei respingimenti, una realtà che coinvolge la nostra quotidianità e dinanzi alla quale non ci è permesso volgere lo sguardo altrove. Come lampade preziose che illuminano il passato per far tesoro delle esperienze vissute, i libri di Lia Levi ci invitano a non dimenticare ciò che è stato e a combattere l’indifferenza dinanzi alle tragedie collettive della Storia.