Una narratrice di talento come Lia Levi riesce ad essere assolutamente originale anche quando rievoca fatti che si riferiscono alla storia degli ebrei italiani nel periodo fascista, tema che ricorre ormai in molti degli scrittori contemporanei ma che, nel caso di Lia Levi, si caratterizza per un punto di vista, come in questo romanzo, del tutto nuovo. La vicenda raccontata in “Questa sera è già domani” infatti, si riferisce alla storia vera di Luciano Tas, suo marito, scomparso nel 2014.
Siamo a Genova, nel 1932. La famiglia Rimon è composta da Marc, tagliatore di diamanti, di origine olandese con passaporto inglese, da sua moglie Emilia, e dal piccolo Alessandro, un bambino di cinque anni molto sveglio, precocissimo, già capace di leggere e scrivere, pronto a saltare anni di scuola. In casa con loro vive anche il nonno Luigi, ferroviere in pensione, mentre la zia Wanda e lo zio Osvaldo, lui facoltoso commerciante, vivono nei pressi e sono molto uniti, anche se le due sorelle sono diverse e in parte rivali.
La vita degli ebrei italiani scorreva apparentemente tranquilla, ma nel corso degli anni, ci avviciniamo al 1938, data della promulgazione delle leggi razziali, la tempesta si avvicinava con inequivocabili segnali che molti dei nostri protagonisti volevano ignorare. Ottimismo che Lia Levi definisce in qualche caso ottusità: come non capire che la privazione dei diritti più elementari, frequentare la scuola pubblica, avere una radio, tenere una domestica ariana, andare al parco pubblico, non poteva che essere il preludio di una tragedia, quella che già era avvenuta in Germania e in Austria?
Proprio dall’Austria arrivano a Genova famiglie di ebrei che tentano di fuggire dalle persecuzioni antisemite e che, imprevedibilmente ed inspiegabilmente, l’Italia fascista accetta di ospitare in attesa che possano imbarcarsi verso un altro destino.
Hermann e sua sorella Paula saranno ospiti dei Rimon, e Alessandro riuscirà a dialogare in francese con la ragazza austriaca, che non gli nasconde quanto sta avvenendo nel suo Paese ormai occupato dai nazisti, anche se sui giornali non se ne parla e i ragazzi vengono tenuti volutamente all’oscuro del dramma che incombe sugli ebrei. Ma Alessandro ha anche un grande problema con sua madre: Emilia infatti è una donna litigiosa, delusa dal figlio che prometteva di essere un genio e si è rivelato un ragazzo solo normale, incapace di un vero rapporto affettivo con il marito, sempre acquiescente, invidiosa della sorella Wanda, più ricca ed elegante, meno sciocca di quanto lei non ritenga, legatissima ad Alessandro, che l’avrebbe preferita a sua madre.
La vicenda della famiglia, dopo una riunione allargata di molti esponenti della comunità che si è svolta in una lussuosa dimora a Livorno, si avvia verso la conclusione: alcuni decideranno di partire, fin che è possibile, Marc Rimon invece, frenato da Emilia che caparbiamente si rifiuta di abbandonare la sua città, la casa, gli affetti, aspetta troppo e la sua via di fuga in Inghilterra si chiude. Dovrà affidarsi ad un parente, Fausto, che aveva beneficato in passato, e alla sua bella e volitiva compagna, Jole, che organizzeranno la loro avventurosa fuga attraverso il confine verso la Svizzera neutrale.
Nel libro di Lia Levi ci sono molti spunti di riflessione inediti che ci fanno ripensare alla storia degli ebrei negli anni Quaranta con uno sguardo sul presente: emigrazione, fuga, accoglienza, respingimenti, documenti, termini così frequenti nelle nostre cronache attuali, erano le parole chiave che anche allora permettevano la sopravvivenza o condannavano alla detenzione, alla deportazione, e come ben sappiamo alla morte nei lager. Lia Levi ha uno sguardo aperto, oggettivo nel raccontare fatti che ha vissuto, ha studiato, ha testimoniato: la vita quotidiana, le abitudini, la religiosità, i rapporti familiari, il confronto con la situazione politica, quello che già nel bellissimo “Tutti i giorni di mia vita” la scrittrice aveva raccontato con sapiente emozione, qui si ripropone in modo più attento alla psicologia dei singoli personaggi, sia che siano bambini o adolescenti, o che invece siano ormai privi di speranza, come il nonno Luigi, o costretti a prendere decisioni difficili dall’incombere della Storia, come Marc e Osvaldo, Wanda e Emilia. Nel Lazzaretto di Sagno, nella Svizzera italiana, dove per la caparbietà di Alessandro finalmente i Rimon trovano rifugio, è già Shabbat, è già domani. La dichiarazione di Stato Civile di Alessandro/Luciano Tas, che la scrittrice ha ottenuto di riprodurre grazie alle autorità del Canton Ticino, testimoniano la riconoscenza verso quel Paese, che ha accolto dei profughi in pericolo. Una grande lezione di Storia, una testimonianza importante, un altro tassello che Lia Levi introduce per rendere la nostra Memoria più solida, meno distratta, più consapevole.