UNO DEI TUOI ULTIMI LIBRI, L’IRA DI VENERE È INCENTRATO SU PROTAGONISTE FEMMINILI. IN UN MOMENTO STORICO IN CUI SI PARLA TANTO DI FEMMINICIDIO E MOLESTIE, QUAL È IL TUO PENSIERO PERSONALE E QUALE IL CONTRIBUTO CHE PUÒ DARE LA LETTERATURA?
Posso fare davvero solo delle valutazioni personali, perché il problema è davvero assai complesso, e sebbene ci sia una tendenza – giustamente- a parlarne e darne la massima rilevanza, ogni caso presenta delle differenze rispetto agli altri e sarebbe sbagliato generalizzare. Ciò premesso, è evidente che la donna oggi sia sotto attacco, su diversi fronti. Uno più appariscente: la violenza fisica, gli omicidi, lo stalking e le molestie; uno meno vistoso ma proprio per questo più subdolo: la violenza sui luoghi di lavoro, il mobbing, le umiliazioni e le violenze psicologiche.
Dal mio punto di vista, la radice comune di questa violenza è una metastasi culturale: tutti noi, sia uomini che donne, siamo consapevolmente o inconsapevolmente vittime di strutture di pensiero e di modelli di comportamento arcaici, patriarcali, quasi agropastorali nella distinzione dei ruoli e nello svilimento della figura femminile; strutture che ereditiamo, di cui siamo testimoni e che introiettiamo fin da piccolissimi: piccole umiliazioni, dettami sociali, battute e insinuazioni – all’interno delle mura domestiche in primis, per poi assumerne in dosi massicce a scuola, in ambito ecclesiastico per poi, soprattutto, suggerne dalla televisione e in tempi più recenti attraverso i social – su cui costruiamo le nostre sovrastrutture di pensiero e di giudizio; ma il terreno su cui edifichiamo la nostra capacità di comprensione e interfaccia col mondo è marcio e inficiato dal virus della “predominanza di un genere sull’altro”.
Se a questo poi si somma una inesistente educazione sentimentale, si ottiene una miscela iniqua. Tutto ciò si inasprisce in un conflitto intimo e personale dell’uomo in questo preciso momento storico perché, cresciuto con la consapevolezza e la visione di un universo “maschiocentrico”, il genere maschile sta assistendo al crollo di questa concezione, poiché fortunatamente la donna sta ottenendo l’emancipazione che merita, e – sebbene con difficoltà – riesce a scalare i vertici della società civile e del mondo professionale; questo mette in crisi il maschio che spesso deve fronteggiare l’evidenza cocente di una donna assai più evoluta di lui, culturalmente, sessualmente, professionalmente ed economicamente parlando; qui la concezione che gli è stata inculcata da più fronti (rappresentazione arcaica e tradizionalista del suo ruolo) va a confliggere con una realtà che non è in grado di affrontare perché non è in possesso degli strumenti culturali per farlo o – molto più spesso – perché non è in grado di accettare questa realtà, e quindi risponde con una dialettica non razionale, ma viscerale: quella della violenza.
Nella maggior parte dei casi credo che si profili una situazione di questo genere. La famiglia, la scuola, e il sistema cultura a trecentosessanta gradi hanno quindi delle forti responsabilità e possono fare tantissimo per mutare questa situazione o agevolarne il cambiamento.
IL PROTAGONISTA DELLA SCELTA DEL BUIO È INVECE UN UOMO, L’INVESTIGATORE VITO STREGA. COSA CI DICI DI LUI E QUAL È – SE CE N’È UNO – IL PERSONAGGIO A CUI SEI PIÙ AFFEZIONATO TRA QUELLI CHE HAI CREATO?
Strega è più un letterato che un poliziotto alla Biagio Mazzeo. È più uno scienziato dell’anima, uno studioso desideroso di calarsi nella mente dei criminali per comprendere come pensano, cosa desiderano, in modo tale da poter prevenire le loro azioni violente – se possibile – o di desumere dai loro pattern comportamentali e dall’analisi della scena del crimine quali sono le meccaniche psicologiche interne che li portano a uccidere o a commettere atti violenti. Si è formato come psicologo e criminologo prima di entrare in polizia, e questo lo rende quasi un corpo estraneo nel suo ambiente. Viene visto con sospetto e diffidenza dai suoi colleghi. Ma al di là di questo, la sua caratteristica principale è la dedizione con cui si dona ai suoi casi: si sente quasi investito di una missione, quella di arrivare alla verità e di dare giustizia alle vittime, che lo rendono infaticabile e senza requie, e al tempo stesso ne fanno un uomo in conflitto con se stesso, che subordina la propria vita privata al lavoro. Il dolore e l’ingiustizia subiti dalle vittime sono benzina gettata sul suo fuoco motivazionale, ma questo suo “modus operandi” si rivela sin da subito essere pericoloso per la sua salute psicologica.Attraverso questo personaggio che va a sondare gli abissi della psiche umana, volevo che i lettori fossero consapevoli del rischio del “contagio mentale”, l’effetto negativo che una personalità può avere su un’altra. Così come a volte capita in psicoterapia, quando si lavora con degli psicopatici, i meccanismi maniacali e la violenza psicologica, che in alcuni casi sono il tratto dominante del malato, possono essere contagiosi e avere un effetto devastante sulla mente del terapeuta, sulla sua sanità emotiva. In questo caso il terapeuta è Strega: volevo palesare cosa accade alla mente di un poliziotto quando è esposto continuamente al buio, al Male, e alla violenza, esplicitando i conflitti morali che vive, e l’armonia tra coscienza e subconscio che va in frantumi.
Come si modificano la sua sensibilità, la sua mappa morale, i suoi ideali? Cambiano o rimangono gli stessi? Il buio alla fine diventa un luogo familiare e confortevole per chi è costretto a fronteggiarlo giorno dopo giorno? Su questo transfert emozionale e psicologico si gioca la serie “I Canti del Male” che esplora questo tema così annoso.
DAL TUO PRIMO LIBRO, CREDO CHE SIA PERDAS DE FOGU, COSA È CAMBIATO PER LO SCRITTORE PULIXI?
Sono cambiate parecchie cose. Perdas de Fogu (romanzo scritto da Massimo Carlotto in collaborazione col Collettivo Sabot, di cui faccio parte) e “Un amore sporco” (un mio romanzo breve inserito nel trittico Donne a perdere), li considero come tappe fondamentali di un percorso di studio e formazione iniziato nel Collettivo: sonostati lavori propedeutici a ciò che avrei prodotto in seguito; Una brutta storia è il mio primo vero romanzo che ha dato inizio alla serie di Biagio Mazzeo, e tutt’ora è uno dei miei lavori più cari ai lettori.
Con gli anni diventi gradualmente consapevole dei tuoi limiti, delle zone d’ombra del tuo lavoro, dei punti deboli che con sacrificio devi correggere e trasformare in punti di forza. Più scrivi, e più trapelano le venature della tua scrittura, rendendo più facile l’individuazione dei trombi che ostruiscono e impediscono alla scrittura di scorrere come dovrebbe. Le occlusioni coronariche che spesso ostacolano la fluidità della storia sono dovute a una cattiva gestione delle voci narranti, a manchevolezze sintattiche e grammaticali, a un’eccessiva paura di non essere all’altezza delle aspettative del lettore o – di contro – a una smodata fiducia nei propri mezzi espressivi, e così via; ma su ognuna di queste imperfezioni si può e si deve intervenire, arrivando a un grado di maturazione professionale e artigianale sempre più alto. Questa urgenza migliorativa ti permette di lavorare più su te stesso e sulla tua scrittura, affinandola e rendendola più precisa e affilata. Il lavoro con gli editor non va a potenziare soltanto il singolo romanzo, ma perfeziona e fortifica l’autore stesso.
Quindi in realtà la domanda andrebbe modificata in “Cosa non è cambiato per lo scrittore Pulixi?”. E la risposta, inevitabilmente, sarebbe: la voglia di imparare, di migliorarmi, di presentarmi all’appuntamento con i lettori sempre con qualcosa di nuovo, che li coinvolga e li stupisca. Per farlo, occorre tanto studio, sacrificio e dedizione.
QUAL È IL FILO CONDUTTORE CHE LEGA IL TUO STILE DI SCRITTURA A QUELLO DI MASSIMO CARLOTTO?
C’è da dire che nasco come appassionato e cultore di Massimo Carlotto, prima che come allievo o collaboratore. Inizialmente credo che questo abbia condizionato in qualche modo il mio stile e il mio modo di “vedere la realtà”. Ora credo che le nostre sensibilità letterarie siano più distinte, (intendo che la mia ricalca meno la sua, per quanto sia possibile ricalcare lo stile di un grande scrittore come lui), nel senso che ho cercato di discostarmi da alcune atmosfere dei suoi lavori, per “leggere” e “raccontare la realtà” in una forma più personale, trovando ed elaborando un mio modo di scrivere il noir. Ciò che ci lega indissolubilmente a livello stilistico è l’attenzione per la realtà; l’idea stessa di unire il puro intrattenimento del romanzo poliziesco a una forma di critica sociale e analisi delle mutazioni criminali, attraverso cui si possono mettere in risalto le contraddizioni della nostra società, è il mastice che ci salda a livello poetico. La consapevolezza di poter utilizzare questo genere come chiave di lettura della nostra realtà è un tratto totalmente comune.
DEI TUOI LIBRI, CE N’È UNO A CUI SEI PIÙ LEGATO?
L’appuntamento, è quello a cui sono più devoto e riconoscente, per diversi motivi.
C’È UN LIBRO CHE NON HAI SCRITTO TU E CHE TI SAREBBE PIACIUTO SCRIVERE? IN CASO CI RACCONTI PERCHÉ?
L’elenco sarebbe infinito. Per me la letteratura è un innamoramento continuo. Mi innamoro delle scritture, degli stili e delle storie di altri autori. Ricerco ossessivamente questi amori, e mi ci immergo senza paura delle conseguenze. Accade quotidianamente. Mi capita sovente di avere delle “delusioni amorose”, ma alle volte vivo delle infatuazioni che lasciano un segno in me per anni e anni. Al di là dei classici, soprattutto ottocenteschi russi e inglesi, vado in estasi per la prima produzione di Stephen King, per quella di Joe Lansdale, per Sandor Màrai, e ultimamente ho preso una sbandata per William Kent Krueger e Tiffany McDaniel. Il tratto comune di questi autori è che hanno una capacità di raccontare l’adolescenza e i riti di passaggio verso l’età adulta in una maniera unica, facendoti provare la sensazione di vivere in prima persona quei momenti, rinfocolando memorie passate che tutti noi abbiamo vissuto. Questo lo trovo un esercizio molto complesso ma che in loro porta a dei risultati straordinari.
CHE COSA DEVE AVERE UN ROMANZO NOIR PER ESSERE BELLO E COLPIRE L’ATTENZIONE DEL LETTORE?
Le stesse caratteristiche che dovrebbe avere qualsiasi altro romanzo di genere e non: una perfetta miscela tra originalità della storia, impronta personale stilistica, maestria nell’intreccio, sincerità della voce narrativa, profondità della scrittura e della introspezione psicologica. Forse il noir dovrebbe, inoltre, concentrarsi sul ritmo e sul ritratto cristallino di una precisa situazione socio-criminale.
QUANDO SCRIVI UN LIBRO HA GIÀ IN TESTA LA STORIA E IL FINALE O PREFERISCI SCRIVERE DI GETTO SECONDO L’ISPIRAZIONE DEL MOMENTO?
Non posso permettermi di credere all’esistenza dell’ispirazione; se così fosse, probabilmente scriverei soltanto un giorno alla settimana, quando – per l’appunto – fossi così fortunato da essere fulminato da questa divinità tanto bizzosa. Se, invece, si vuole affrontare la scrittura in maniera professionale, si deve sviluppare una robusta etica lavorativa che passa attraverso un esercizio quotidiano della disciplina scrittoria: scrivere ogni giorno, darsi degli obiettivi e cercare di perseguirli con passione, dedizione e duro lavoro. Sulla base di questo, è chiaro che avere già strutturato in mente (o sulla pagina) un canovaccio – se non addirittura un soggetto molto dettagliato della storia – facilita molto nel trovare la giusta motivazione che ti porta a scrivere ogni mattina, perché sai già cosa devi scrivere e non devi andarne alla ricerca ogni volta nell’Empireo.
CHE COSA PENSI DELL’EDITORIA A PAGAMENTO E DEGLI AUTORI EMERGENTI CHE SI AFFIDANO ALL’AUTO-PUBBLICAZIONE?
È un qualcosa che comprendo dal punto di vista umano e artistico – la fascinazione verso la pubblicazione, intendo – ma aborro l’editoria a pagamento perché sono consapevole dei rischi a cui viene esposto l’autore agendo in tal senso; e il primo rischio è quello di non essere preso sul serio e, spesso, di “rovinarsi”. Se pagando riesci a pubblicare in cento casi su cento, dov’è il distinguo e il talento tra gli autori? Potenzialmente, con abbastanza soldi in tasca, ognuno potrebbe divenire uno scrittore. E quando un autore autopubblicato – dopo la prima, comprensibile ubriacatura dell’ego data dalla pubblicazione – si scontra contro questa realtà, il risultato è sempre drammatico, e spesso degenera in astio verso l’intero panorama editoriale e i suoi discendenti fino alla settima generazione. Non che a volte il “sistema editoriale sano” non susciti gli stessi comportamenti di risposta, ma questa è un’altra storia… Per sintetizzare, meglio stare alla larga dall’editoria a pagamento, e valutare invece con più attenzione piattaforme come Wattpad, o autopubblicazione in “ebook” o su “print on demand” ben consapevoli, però, dei rischi a cui accennavo sopra.
QUALE CONSIGLIO DARESTI A UN ASPIRANTE SCRITTORE ALLE PRESE CON IL SUO PRIMO ROMANZO?
Di non avere fretta e di affidarsi a professionisti seri, come agenzie letterarie, editor e consulenti editoriali che lo possano aiutare a trovare la propria strada. La fretta è il peggior nemico di uno scrittore. Sempre.
HAI SCRITTO MOLTI LIBRI NOIR E THRILLER IN FUTURO RESTERAI FEDELE A QUESTA SCELTA O TI PIACEREBBE VARIARE SUL GENERE?
No, varierò sicuramente; rimarrò fedele al genere, ma ho intenzione di esplorare anche altri territori narrativi. La curiosità intellettuale e il mettersi in gioco in contesti narrativi forestieri sono elementi basilari per la crescita artistica di un autore.
ULTIMAMENTE IL RAPPORTO TRA CINEMA E LETTERATURA SI STA INTENSIFICANDO. TI PIACEREBBE SCRIVERE UNA SCENEGGIATURA? CI HAI MAI PROVATO?
Sì, è un altro territorio che sto setacciando, speriamo con buoni risultati.
DOPO UN LUNGO TOUR NELLE LIBRERIE ITALIANE, QUALI SONO I TUOI PROGETTI FUTURI?
Dedicarmi allo studio e alla documentazione del prossimo romanzo, perché sarà – credo – il mio lavoro più complesso, e forse per questo anche il più entusiasmante da scrivere.
Grazie mille a Piergiorgio Pulixi per questa splendida intervista e per averci dato tanto di te come scrittore e uomo!