La sposa gentile: lultimo intenso ritratto sociale di Lia Levi
Autore: Erminio Fischetti
Testata: Fuori le Mura
Data: 8 marzo 2010
Come era stato per la Trilogia della memoria (Un bambino e basta, L’albergo della Magnolia, L’amore mio non può), ancora una volta Lia Levi conduce il lettore attraverso le tradizioni culturali della borghesia ebraica. Stavolta a muovere il meccanismo della storia è però una donna “gentile”, ovvero una cristiana, una non ebrea. Teresa è una contadina, che all’inizio del Novecento diventa l’interesse amoroso di Amos Segre, un giovane banchiere appartenente ad una rispettata famiglia ebraica di Salluzzo, cittadina situata nella provincia piemontese. Per lei e con lei, il giovane Amos rinuncerà alla sua famiglia e verrà ostracizzato dalla sua comunità ponendo così le basi per il progetto della sua famiglia patriarcale, di cui la donna diverrà custode perfetta acquisendo con operosa e generosa sagacia valori e tradizioni non suoi e riuscendo- grazie ai suoi talenti misti di anomala alterità e capacità domestiche e culinarie- persino a farsi riaccogliere da coloro che li avevano allontanati.
Con asciuttezza narrativa e intensità formale, Lia Levi passa con disinvoltura dal punto di vista di Amos, sicuro e fiducioso nei confronti della propria solidità economica e della sue tradizioni, a quello di Teresa, bella e accondiscendente, che tira le sue fila di moglie e madre da dietro le quinte, com’era di buon uso nei meccanismi di una società patriarcale. I segreti di un amore silenzioso, che da ambo le parti tutto dà e nulla chiede vengono alla luce attraverso il ritratto di un matrimonio ben riuscito nel quale era necessario che “lui fosse contento”. L’autrice regala al lettore l’intenso ritratto di una coppia e di una famiglia stagliato sullo sfondo di un’Italia in evoluzione, dall’ingresso del XX secolo fino all’ombra delle terribili leggi razziali imposte dal fascismo nel 1938. Una saga famigliare che trova vita attraverso emozioni, sentimenti e comportamenti contraddittori della nostra Italia, così magnificamente descritta tramite la veritiera impronta di personaggi memorabili, unici e allo stesso tempo rappresentanti perfettamente quel mondo ormai scomparso. Perché su questo c’è da dire soprattutto una cosa: quello che Lia Levi vuole mettere in luce è soprattutto un mondo, un tradizionalismo e un’Italia che la guerra e il fascismo ha spezzato, piegato e distrutto per sempre, un mondo che è diventato per la memoria di molti sempre più un ricordo sfocato.
Interessante, senza alcun dubbio, è il modo in cui viene intervallata la narrazione degli eventi, delle complesse dinamiche famigliari, fatte di alleanze e recriminazioni, desideri e virtù, regole non scritte e comportamenti sottintesi, con l’analisi e la rappresentazione di un contesto sociale preciso, fatto di usi e tradizioni tratteggiati nell’ordine preciso dello stato delle cose. Sotto questo punto di vista, la scrittura della Levi è dettagliata quasi fino alla maniacalità e traccia il peso di una Storia che, attraverso intense caratterizzazioni di personaggi secondari così reali e precisi, è improntata non solo verso un’identità culturale molto specifica come l’ebraismo, ma anche verso la più generale identità nazionale di quei tempi e dei suoi eventi più importanti, come possono essere la lenta presa di coscienza del femminismo, la prima guerra mondiale, la moritura di un socialismo che andava incontro al seme del fascismo, una moda che sostituiva bustini, nastrini e piume ingombranti con tagli diritti, comodi e più morbidi, gli usi e i costumi, i comportamenti degli ordini sociali.
Tra le scale dei ceti e delle gerarchie, un’Italia completa fatta di politici e militari, domestiche e cocchieri, banchieri ed impiegati, donne tradizionaliste e donne vagamente liberali, donne inaridite da una maternità consumata prima del tempo, donne contente e infelici, crudeli e abbrutite dal tempo. E su questa scala di valori e fatti concreti, le persone prendono posto perfettamente nell’incedere della vicenda, e in questa galassia che comprende zie, zii, cugini, cugine, nipoti, nonni, ecc. tutti hanno il posto che meritano; dalla anaffettiva e crudele matrigna Michela alla bohémienne cognata Rachele, dal fratellastro egoista e scialacquatore Emanuele alla indipendente figlia del rabbino Sarina, dalla solitaria sorella Anna fino ad arrivare a Teresa, che più che fare sua una religione aveva saputo fare felice il suo unico Dio, suo marito Amos. Tutti sono umani, tutti sono fallibili, tutti sono se stessi. La sposa gentile è un libro che narra del senso della perdita attraverso un decadentismo commovente ed intenso, una storia integra e sincera, che dal vago sentore biografico e personale diventa universale e collettiva.