Signora libraia, dalla torrida Torino, e con il cuore che rimpiange la Liguria delle origini, il 28 di questo mese volerò a Palermo per 5 piccoli ma importanti giorni di vacanza. Ho bisogno di un libro per fronteggiare l’ansia dell’aereo, ma questo libro vorrei parlasse di Sicilia e fosse leggero, che mi deve distrarre dai chilometri di nuvole che avrò sotto le scarpe. Un paio di coordinate: Camilleri, Savatteri, D’Avenia, che sono i siciliani che più ho apprezzato di recente (vabbè, Camilleri da sempre, che lo dico a fare). Prometto di recarmi ad acquistare questo libro in una libreria indipendente di Torino e di recuperare nel tuo bel negozio quando tornerò, spero con più ferie, nella vostra bellissima isola!
Così mi rivolgevo alla libraria Daniela della libreria Dovilio di Caltagirone via facebook, a metà luglio, in cerca di consigli per le letture che avrebbero accompagnato la mia breve vacanza a Palermo. Sul fatto che io chieda consigli a librai che stanno a chilometri da dove vivo io e i cui negozi non posso visitare di persona, vi racconterò in un altro post prima o poi, diciamo solo che c’è di mezzo un Salone del Libro e della simpatia a pelle. E poi c’è la Sicilia, che domande: quale migliore persona di un libraio siciliano da cui farsi consigliare una lettura per crogiolarsi in quell’idea di Sicilia e sicilianità che ha guidato, accudito e coccolato i miei giorni a Palermo?
Dunque eccoci al consiglio di Daniela: L’incantesimo delle civette, di Amedeo La Mattina, edizioni E/O. Una voce nuova da scoprire, mi è stato venduto così, consiglio che, miscelato alla sinossi del romanzo, che spiegava meglio quel non troppo celato riferimento alla civetta di Sciascia, ha colpito la mia attenzione e mi ha convinta. L’ho acquistato, messo in valigia ancora prima dei solari, e poi sapete che ho fatto? Mi sono letta Il giorno della civetta, uno di quei classici di cui per anni si leggono stralci e citazioni e che poi, alla fine dei conti, intero non si è mai letto. Un pomeriggio al mare, era luglio, ed è stato neanche a dirlo folgorante.
La cosa simpatica è doppia, si calcola su una pista reale e su una narrativa. La cosa simpatica reale è che in cinque giorni a Palermo non ho aperto il libro, che però ha volato con me assolvendo in pieno alla funzione di coperta di Linus per gente che ha l’ansia dei voli aerei. Ho invece iniziato a leggerlo (e l’ho finito) sul treno del ritorno a casa. La cosa simpatica narrativa è che anche il protagonista di questa storia sarà spinto a leggere Il giorno della civetta, come è successo a me. A volte perdo tempo e parole su questi apparentemente assurdi legami e sciocche coincidenze che coinvolgono libri e letture, ma credo che i percorsi di senso che si creano e che aiutiamo noi stessi a prendere forma attraverso le pagine letterarie non siano mai del tutto irrilevanti. E soprattutto: avevo bisogno di Sicilia, da leggere e da vivere: ecco perché dopo Sciascia, prima di partire, ho letto anche La rete di protezione di Camilleri. Ma veniamo al L’incantesimo delle civette.
Estate 1967, Luca ha finito la scuola e si appresta a vivere una stagione di guerriglia tra gruppi di coetanei, mare, scirocco e spensieratezza. Ma a Partinico, il paesotto siciliano dove si svolge questa storia, non sarà un’estate come le altre: sono in arrivo le civette. Civette che non sono altro che il modo di dire per riferirsi alla troupe cinematografica che invaderà il paese per girare le scene del film tratto dal romanzo di Sciascia Il giorno della civetta. Nella squadra, le star del momento: Franco Nero e soprattutto Claudia Cardinale. E qui si apre la prima grande ferita che renderà l’estate di Luca diversa dalle precedenti e, a suo modo, unica: l’amore per una donna incantevole, un’attrice irraggiungibile il cui fascino avvolge il ragazzino diventando una sorta di ossessione.
Lo leggevo sulla Lettura del Corriere della sera proprio lo scorso luglio, in un articolo di Ida Bozzi sui romanzi dell’estate: “se un romanzo si svolge d’estate è certo che un apice è raggiunto, il grano è maturo, le sfumature scompaiono e tutto si compie, passioni, annichilimento, delitto, orrore, sublime bellezza. E niente sarà più come prima”. Lecito dunque, in un filone che tutti abbiamo frequentato e che riecheggia di Morante, Ammaniti, ma anche De Luca e Moravia, leggere in questo romanzo di La Mattina una storia di ragazzi, d’estate, e per questo di formazione.
Adesso però era estate e mi lasciavano vivere il momento incantato dei primi giorni di vacanza, la piacevole sensazione di straordinaria malinconia, la sospensione dell’anima impregnata di zagara e libertà. Il mio angolo di Sicilia si risvegliava, lentamente, senza fretta. L’incredulità e la malinconia mi facevano pregustare intensamente quei primi giorni di vacanza, preludio della battaglia rinviata durante l’inverno. Ora rinviare non si poteva più.
In quell’estate del 1967 accadono cose, cambiano prospettive, si rompono equilibri che travasano in nuovi orizzonti. Luca si innamora, assapora la dolcezza, lo struggimento, ma soprattutto la presa di coscienza. La Cardinale è solo l’alfiere del messaggio più profondo e sconvolgente: in paese sono arrivate le civette, ma cosa significa quella storia di Sciacia? Chi è Sciascia, e cos’è la mafia? Il velo dell’ingenuità e dell’infanzia si strappa: entra forte la realtà, e lo fa attraverso un film, ma soprattutto attraverso il libro che Luca, svogliato a scuola, sarà spinto a leggere proprio dall’attrazione che prova per l’attrice e dalle stranezze che inizia a cogliere nei meccanismi che regolano il paese e le relazioni tra cerchie di persone.
Mi sembrava un’intromissione arrogante, un affare sporco. Avvertivo con sgomento l’improvvisa necessità di leggere quel libro: la spiegazione di tutto doveva stare lì, scritta in quelle pagine […] In un momento mi si spalancò sotto gli occhi un mondo sconvolgente, sconosciuto e in buona parte incomprensibile, raccontato con una prosa eccezionale. Andai a prendere il vocabolario d’italiano nella camera di Marta, ritornai in salotto e mi sistemai sul divano. Lessi a lungo, sbalordito, fino all’ora di cena, quando mia madre venne a cercarmi. Entrò nella stanza, mi vide con il libro in mano e il vocabolario accanto. Era più sbalordita di me. «Scendi a mangiare» mi disse attonita, «poi continui…».
Sciascia è la scintilla, e quell’estate si trasformerà per Luca in una profonda delusione d’amore e in più infido e amaro sentimento di sconfitta e sgomento dato dalla scoperta deflagrante della mafia, della sua capillarità e del suo insidioso potere. Il Luca quattordicenne fan del cinema scalcagnato di paese e degli scontri tra bande rivali si trasformerà in un Luca più grande, più triste forse, ma più consapevole del luogo dove vive, dei propri valori e della loro centralità nelle relazioni. La storia si conclude infatti, in un delirio da febbre preadolescenziale, con una scena davvero bella e forte che, a discapito di tutte le vicende accadute prima, di litigi e fraintendimenti, sancisce forte e saldo il potere dell’amicizia.
Ecco: storia di formazione, storia di mafia, storia di crescita, di delusioni, ma soprattutto storia d’estate, di ricordi di un momento speciale per Luca e per la sua piccola comunità. Un’estate vivida nei profumi e nelle scene descritte, un’estate siciliana che, vuoi perché l’avevo appena vissuta, vuoi perché è davvero capace con i suoi caratteri di infondere un’impronta riconoscibile e intensa, secondo me dà il tono al romanzo, ne stempera i temi più seriosi e lo restituisce, senza perdere un grammo di credibilità, al sogno e all’incantesimo che dal titolo percorrono tutta la vicenda raccontata dagli occhi di un Luca via via sempre più lontano dal sé di partenza, più ricco, più piccolo uomo desideroso di bellezza.
Alla luce di questa lettura, confermo che sì, era perfetta per la mia richiesta: c’è tutta quella sicilianità e quella luce che avrei voluto, e c’è insieme la leggerezza che non lascia il passo alla sciatteria ma cresce in mezzo alla coscienza. C’è la grande letteratura, con Sciascia, coscienza critica di tutta la storia e della sua morale sottintesa. C’è l’Italia delle icone del cinematografo, del profumo di granita al limone, del canotto gonfiato per andare a pescare i ricci. E poi c’è il capitombolo di crescita di Luca, il magone improvviso, la paura e la solitudine che, assaggiato il mondo, prova guardando il proprio orizzonte, la voglia di respiri più fondi, di sorsate di ossigeno dopo quella “botta dentro al petto” che è la consapevolezza nuova, della fatica dell’amore e della faccia oscura e ingiusta della realtà. Il libro scava dentro una trincea, “come una ruga profonda in mezzo alla fronte” in un’estate che dal 1967 a oggi promette sole e aroma di zagara, spensieratezza, gite al mare e ore di canicola infuocata senza mantenere mai del tutto intatto quel sogno dello spirito, screziato sempre del ghiacciato rivolo dell’amara consapevolezza. C’è la Sicilia, la Sicilia d’estate che si riempie di turisti già consci del fatto che in quel paradiso di blu e oro non dovrà starci per sempre, non ci dovrà vivere.
Essere siciliani come categoria dello spirito: c’è questo, e questo cercavo da una lettura che potesse idealmente accompagnare una vacanza siciliana in un luogo che sì, è stato bellezza e svago, ma anche sempre occhio curioso e pronto a cogliere chiaroscuri, doppi lati di medaglie che esprimono ancora più la meraviglia nella loro faccia regale e devastata al contempo. Come il cuore di Palermo, come tutto quello che riempiva il mio immaginario e il mio sguardo interiore non appena atterrata al nord e pronta a infilarmi in una storia che tenesse vivo ancora un po’ di quel sapore siciliano. La Mattina ci è riuscito, è stata la prima medicina contro il mio Mal di Sicilia.