Ecco la storia di Teresa, la fanciulla bella e «gentile» che per amore diventa ebrea
Autore: Maria Serena Palieri
Testata: L'Unità
Data: 1 marzo 2010
Quando scocca il primo giorno del 1900 Amos Segre è un giovane uomo di ottime speranze: giura a se stesso che entro lo scadere dei fatidici trent’anni avrà consolidato la sua ricchezza, già sulla buona strada, e avrà trovato moglie, una donna all’altezza. E qui il destino si diverte a tirargli un tiro mancino. Perché Amos Segre è un banchiere appartenente a una comunità ebraica di antica storia, a Saluzzo, e la donna che il fato gli mette sulla strada,«come emersa dalle radici più profonde della terra e della
vita, carnale e festosa, la dea Cerere in persona», è la semplicissima figlia di un fattore. Ed è una «gentile»: è cristiana. La sposa gentile, il nuovo romanzo di Lia Levi, esordisce nel segno della figura di Amos, maschilmente sicura di sé e delle proprie fortune, per poi, quasi da subito, lasciare spazio a quella di Teresa, protagonista nella vita e sulla pagina, però da dietro le quinte, come poteva esserlo una donna primo novecentesca. Teresa entra come una tempesta nella vita di Amos: è lei che lo seduce
col suo infiammato eros innocente, poi resta incinta, cosicché lui, messo al bando, dovrà scegliere tra lei, «gentile», e la famiglia d’origine. Ma la gentile - d’animo - Teresa saprà alla lunga far riconciliare i Segre, grazie all’impegno nell’apprendere preghiere e credenze per diventare, come sogna, una perfetta ebrea, ma anche più materialmente al dono con cui si è presentata in scena, un talento da meravigliosa cuoca esercitato nelle tavolate di Pesach. Qual è però davvero il Dio cui Teresa si è convertita? È il dio degli ebrei oppure è Amos, la sua personalissima maschia divinità?
GLI «ALLEGRO» E GLI «ADAGIO» La sposa gentile è un romanzo che torna nello scenario che Lia Levi ha già ben esplorato nella Trilogia della memoria, la borghesia italiana ebraica, ma con passo nuovo, più musicale e qualche divertito passaggio nel melodramma. Nelle sue duecento pagine racconta con i suoi allegro e i suoi adagio, e con la levità caratteristica dell’autrice anche nei passaggi più tragici, una saga familiare estesa per più di un cinquantennio. Da quell’inizio di secolo vissuto con ottimismo
da ballo Excelsior alla prosperità dei Segre alla vita che si restringe con le leggi razziali, fino al buio, e al dopo: quando per chi è sopravvissuto quel «sistema solare» è solo un ricordo. Amos ha un padre, Franchin, rimasto vedovo, e una matrigna, Michela, che non ricusa di essere «aspra e irritabile, grifagna sui soldi e ostile» come vuole il ruolo, una sorella maggiore, Anna, due fratelli, Salvatore e Cesarino, e un fratellastro, Emanuele. Con Teresa ha due figli maschi, Vittorio e Alberto e due femmine, Nerina
ed Etta. E intorno ci sono la brillante e bohémienne cognata Rachele e la saggia figlia del rabbino, Sarina, balie, domestiche, uomini di fiducia. C’è il socialismo cui si voca il Segre che debutta in politica e il regio esercito cui giura fedeltà un altro. Lia Levi accumula dettagli curiosi: la casa in ghetto che Amos sogna e le dimore di collina che invece costruisce, i tesori, od orrori, d’antiquariato che accumula e il castello che compra quand’è allo zenith della sua fortuna. Molto si disperderà al vento quand’arriverà il
fascismo. «Ma questa non è la storia di un patrimonio» commenta l’autrice. È la vicenda «di una donna che aveva solo caparbiamente desiderato che “lui fosse contento”. E “lui” le aveva risposto con lo stesso identico desiderio». Da «padre» a «madre»: La sposa gentile è una storia d’amore. È la storia d’un matrimonio.