1994. Massimiliano, strafatto di psicofarmaci, il muso smunto e gli occhi spiritati, se ne sta rintanato in auto; l’auto è una vecchia 500, quella con cui sua madre lo portava ad allenarsi vent’anni prima, quando era ragazzino. Se ne sta là, chiuso in macchina, intorpidito dall’aria viziata, da un bel pezzo; quando prende sonno sprofonda subito in un incubo, e si risveglia ancora più esausto e malconcio. Non sta in piedi. Per passare il tempo fa a pezzi, accuratamente, le guarnizioni dei finestrini e tagliuzza il tettuccio, con molto metodo; ogni tanto, apre e sfoglia a caso uno dei vecchi libri che tiene sul sedile posteriore; può capitare di intercettare un Beckett oracolare. Massimiliano sta là, in quell’auto che ha “un che di onirico e angoscioso. Sa di inconscio irrancidito e di silenzio”, e aspetta. Aspetta che passi il suo vecchio mister, Mario Malatrasi, perché lo vuole ammazzare. Intanto, nei paraggi non passa nessuno; c’è soltanto uno strano signore che fa capoccella ogni tanto, ha la faccia tutta bianca. “Mi guarda. Ci guardiamo. A volte lo coinvolgo in un gioco. Un gioco mentale”. Il tempo non passa più, Massimiliano si è impantanato in questa fissa, non si smuove più. Aspetta… 1974. Massimiliano è una promessa dei Giovanissimi della Lazio, per l’orgoglio del suo papà. È un anno memorabile per i biancocelesti; la prima squadra sta per vincere il primo scudetto della sua storia. Governi jr gioca mezzapunta, e vede bene la porta; sta addirittura nella classifica dei cannonieri. Ha classe ma è abulico. Quando segna non esulta, soffocando la gioia in gola. Ha talento ma non ha amici. “Ero come invisibile, in quegli anni. Ero puro spirito. In pratica non esistevo. Ero l'unico con la borsa diversa”. Con la maggioranza dei compagni non parla proprio; quando si parlano, è perché c’è qualcosa che non va. Lui soffre molto di allergia e per questo tiene un fazzoletto tutto appallottolato nei pantaloncini, tipo coperta di Linus. È buffo, e insolito; i compagni cominciano a chiamarlo “bozzetto”. Gioca bene a calcio ma come per inerzia; il mister, Malatrasi, sembra credere in lui...
A ventidue anni di distanza dalla prima edizione (Baldini & Castoldi, 1995), torna nelle librerie il primo romanzo dello scrittore capitolino Massimiliano Governi, Il calciatore, per la e/o. La copertina è rimasta piuttosto simile, nel concept; il libro è invecchiato bene. Nel 1995, l’esordiente Massimiliano Governi aveva 33 anni: si proponeva con un esordio cupo, dissociato e velenoso, con una storia violenta di autodistruzione, puntuale e pianificata nel tempo, e di bambinesca (o ragazzina) sofferenza psichica, di un’intensità lancinante; una storia di una sensibilità complicata che finisce per rovinare tutto, dalla gioia pura e incredula di giocare a calcio nella squadra del cuore al rapporto col padre, rapporto che poteva essere cameratesco e diventa invece di soggezione e di distacco. È una sensibilità che brucia il primo amore, che poteva essere carnale e leggero e finisce per tinteggiarsi di oscurità e di morbosità, con tanto di mesi di appostamento sotto casa, in attesa di un improbabile recupero; è una sensibilità che incrina e corrode le esperienze professionali, in genere. Da un certo punto di vista, Il calciatore è un romanzo autodafé di un artista che si giudica con una certa spietata lucidità, ostinandosi a interrogare a oltranza i suoi sbagli, i suoi limiti o i suoi errori, ammettendo soltanto di essere stato bravo a giocare a flipper, di aver trovato pace soltanto nel micromondo del flipper, proprio come il Tommy degli Who, non a caso più volte nominato nel libro. L’aspetto violento e distruttivo che si annunciava nelle prime pagine del romanzo, con l’allucinante imboscata preparata con atteggiamento e convinzione da Travis Bickle, sembra un escamotage: non c’è nulla nel personaggio rappresentato da Governi che possa costituire una minaccia per l’alterità. È solo un kamikaze dell’autodistruzione. Un masochista limpidissimo. Nei due lavori successivi, il romanzo breve L’uomo che brucia (Einaudi, 2000) e la raccolta di racconti Parassiti (Einaudi, 2005), Governi ha mantenuto fede a diversi aspetti fondanti della sua narrativa, già esplorati ne Il calciatore: la poetica del fallimento, la rappresentazione del dolore e della sofferenza, la complessità del rapporto padre-figlio; sono state ossessioni fertili. Insopportabili e fertili. Quanti si dovessero appassionare alla letteratura governica, pure scoprendola in differita, possono certamente ritrovare molte trame pallonare e fallimentari di questo romanzo soprattutto in Parassiti, pubblicato dieci anni più tardi, rimuginando a nastro, proprio come un ragazzino.