Sotto un pezzo di cielo romano?
Solo lei, Patrizia Rinaldi, sa fare inviti così belli, che valgono il tutto e il niente mescolati insieme. Naso all’in su, occhi che inseguono le nuvole, forse a riconoscere l’immagine dei polli appesi ai ganci di macelleria, con cui si apre il nuovo romanzo della scrittrice napoletana, “La figlia maschio” (E/O), che insieme al precedente “Ma già prima di giugno” (QUI la chiacchierata che facemmo sul romanzo) rappresenta il filone de-genere della sua scrittura, rispetto ai romanzi iniziali legati al genere giallo e alla narrativa per ragazzi: immaginateci così dunque, mentre chiacchieriamo, e unitevi a noi per intraprendere un viaggio introspettivo fino in Cina, passando per il cuore e per lo stomaco.
Quattro voci si alternano e si incrociano in “La figlia maschio”, per raccontare dai diversi punti di vista, il medesimo viaggio in Cina in cui ogni cosa cominciò e tutto finì. Due voci maschili, con toni differenti: virile e sprezzante quella di Marino che apre il libro; dolce e a tratti “materna” quella di Sergio; stridente e sempre più matura quella di Felicita; dirompente e risoluta nel suo essere risolutiva quella di Na.
Grande ricchezza di voci e sensazioni, amplificata dal raccontare una storia unica, che diviene molteplice perché via via si accresce di dettagli, sfumature, rivelazioni che ciascun personaggio arreca alla storia nel suo sfogo esistenziale. Eppure la voce della scrittrice Patrizia Rinaldi, in questo romanzo, più ancora che nel precedente, “Ma già prima di giugno”, si avverte, a tratti sfocata a tratti nitidissima (penso all’esperienza di insegnamento di Felicita, in cui mi è parso di sentire un’eco di ciò che sei).
Quanto ha donato di sé Patrizia Rinaldi in “La figlia maschio”, pur essendo forse (correggimi se sbaglio) il romanzo più lontano in termini geografici tra i tuoi?
A me è sembrato che in ognuno dei quattro ci fosse un tuo particolare riconoscibile, o invece c’è un personaggio a cui tu hai affidato una più netta parte di te rispetto agli altri?
Dopo l’ultimo scritto “Ma già prima di giugno“, edizioni e/o, ho sentito l’esigenza di allontanarmi dal romanzo negli spazi narrati e nei temi. Non volevo somigliarmi troppo, anche se ho cercato coerenza nella voce.
Qualche ossessione però è tornata, le ossessioni, si sa, sono indomabili; tra queste la voglia di dire di ragazzi e dell’adolescenza dei personaggi. Felicita riesce in parte a ricomporsi, dopo scelte azzardate, proprio grazie all’incontro con una classe anomala.
Con “Ma già prima di giugno” eri rimasta a casa tua, e anche quando te ne eri allontana con Antonia, giovane sposa, che segue in Dalmazia il marito, rimanevi all’interno della tua vita familiare. Quanto sono lontani da Patrizia Rinaldi la Cina e il tema che dà il titolo al romanzo (che non voglio svelare perché per me è stata una vera rivelazione “storica”), e cosa li ha resi così vicini da far nascere il desiderio di scriverne un romanzo?
Nel romanzo la Cina è l’ingovernabile, una lente che spinge i personaggi a riconoscere l’irrisolto. Un viaggio in principio convenzionale invece rivoluziona le loro esistenze. Ho sentito vicino il confronto tra temi in apparenza opposti: la schiavitù sessuale e il matrimonio bianco; identità assenti e multiple; la vita da preda e la sua rivoluzione; i dogmi ideologici e la fallibilità delle certezze; paternità rifiutata e incesto; il bene materno di salvezza e indebolimento; l’estraniamento e l’appartenenza; l’amore carnale e la tregua per i disamorati.
Ti ho comprata e non ti ho avuta, dev’essere per questo.
Entriamo nei meandri delle relazioni che intessi nel romanzo, con fine arte introspettiva, che si allarga al sociale.
Marino è tra i quattro il personaggio più urticante e scomodo, il peggio di noi e della nostra società, ma anche in definitiva il più debole e scoperto. Tra lui e Na c’è uno rispecchiamento velato e invisibile, nascosto dietro un più eclatante e irritante rapporto padrone/ schiava. Ma è una relazione finta, di cui entrambi sono consapevoli e che nasconde tutta la tragedia delle loro esistenze:
Non so se fu là che decisi di diventare il secondino delle loro miserie, sarebbe troppo facile fare due più due: tu mi violenti, io ti violenterò senza nemmeno toccarti. Non funziona così.
La violenza, quando cresce insieme a te, è una massa informe. È una mania che consuma, scuoia. Non lo sai nemmeno tu dove andrà a parare, cosa ti farà diventare.
Il disonore e l’ossessione miei si infilarono in tutti i buchi, sotto le unghie, negli anfratti miserabili delle urla taciute.
Quella che le persone come Anna e Felicita chiamano rivalsa sociale non somiglia alla mia. La mia si è incarnata in tutti i “non si può fare ” del mondo bambino per trasformarli in “si può fare a ogni costo”. Possibilmente a vostro danno.
Marino e Na aprono e chiudono il romanzo con le loro voci, che si rincorrono e si sovrappongono. Sono in qualche modo entrambi feriti e vittime del mondo esterno, o incarnano l’uno il carnefice e l’altra la vittima? È questa loro relazione così difficile da definire, ma che tu hai descritto con sofferta vividezza, il cardine del romanzo?
Marino e Na, come pure gli altri due protagonisti, sono al contempo vittime e carnefici. Non mi interessava raccontare la cristallizzazione del gesto buono o malvagio. Il legame tra l’imprenditore criminale e l’ex bambina fantasma vuole rimandare all’assenza di autoassoluzione, alla impossibilità – in circostanze estreme – di muoversi secondo aspettative lecite. Perciò il predatore contiene tracce di vulnerabilità e la vittima dismette i suoi panni sacrificali e si arma con quello che ha a disposizione: il corpo, la voce nuova, l’apprendimento forsennato, il distacco.
Oltre a Na, in “La figlia maschio” ci sono altre due figure femminili: Felicita, moglie di Marino, che è quella che mostra all’interno del romanzo un percorso più netto e visibile di maturazione e cambiamento, e Anna, che non conosciamo direttamente dal proprio racconto, ma indirettamente da quello dei tre personaggi italiani, in particolare Sergio. Il viaggio in Cina è voluto da lei allo scopo apparente di dare un’ultima opportunità al matrimonio con Sergio, destinato a naufragare. Come di lì a poco andrà alla deriva anche quello tra Marino e Felicita.
Donne molto diverse: Na, Felicita e Anna, e se l’ultima rimane in sordina tra le prime due ci sono dei sottili e tenaci fili, che nel corso del romanzo si tendono costringendo le due donne ad avvicinarsi, anche se per fugaci incontri.
Che tipo di donne sono? C’è un disegno complessivo, un’idea di donna, in cui presentando delle femminilità così difformi volevi inquadrarle? C’è nella filigrana della narrazione di “La figlia maschio” uno specchio invisibile in cui queste tre donne si riflettono? e quale immagine rimanda?
Anna mente, protegge la sua storia opponendo un’altra immagine di sé. Forse arriva a crederci anche lei.
Felicita è una donna che comprende tardi il danno che ha contribuito a subire. Al ritorno del viaggio in Cina non può restare nella finzione che si è costruita nel matrimonio bianco e nell’assenza di interessi lavorativi. Reagisce: male, bene, ma cerca soluzioni. L’ottundimento si trasforma nella crudeltà del dirsi anche il minimo errore. Da là riparte verso mete anche piccole, ma finalmente autentiche.
A Na le crisi esistenziali non interessano affatto. Vuole il bene relativo dopo il male assoluto, non ha alcun bisogno di perdonarsi. Agisce con l’istinto dei sopravvissuti, ignora qualsiasi costruzione etica. Eppure quando si incontrano, per poco tempo, non si giudicano con asprezza, anzi provano una certa attrazione.
Non mi sono riferita a un’idea di donna; ho desiderato raccontare identità molteplici, possibilità di cambiamenti, ferite e risorse.
L’identità. “La figlia maschio” sin dal titolo allude alla complessità del tema, intrecciato strettamente a quello della paternità e dilaniato dall’assenza della maternità.
Quanti padri ha Na, eppure non uno che possa dirsi tale. Tutti traditori della sua identità, relegandola in un destino in cui solo la sua forza d’animo e capacità di resistenza faranno in modo che si trasformi in una prigione dorata, da cui evadere grazie alla propria intelligenza e capacità creativa.
Identità e incesto sono i due cardini su cui ruota, attraverso il destino di Na, la tua indagine nei meandri introspettivi dei personaggi? È anche sotteso al tema un’invisibile ma palpabile riflessione su quanto si è pronti a giudicare i mondi degli altri, nelle loro leggi e convenzioni crudeli, dimenticando la crudezza dei propri atteggiamenti travestiti da una generosità piena di spine?
I personaggi del romanzo smantellano la generosità presuntuosa e la offendono. Per questo Marino, Felicita e Na, quando incontrano sprazzi di generosità altra, si sorprendono e provano un certo imbarazzo a raccontarla; ne dicono con pudore. Sanno che è rara.
Il giudizio sugli altri segue la stessa sorte. Nonostante i personaggi siano scabrosi nei giudizi, scorretti, affrontano con autoironia la smentita delle loro convinzioni.