Un libro non finisce mai di vivere se cambia qualcosa dentro gli altri libri, se fa una rivoluzione. Il club dei bugiardi, esordio di Mary Karr, uscito vent’anni fa in America, è stato per più di un anno in cima alla classifica del New York Times, ha venduto più di cinquecentomila copie, ma soprattutto ha cambiato il memoir, il modo di raccontare di sé. Ha fatto la rivoluzione nei libri successivi, ma ha anche cambiato qualcosa nelle persone. “A quanto pareva Il club dei bugiardi era in grado di forzare e spalancare le porte interiori della gente”, ha scritto Mary Karr dieci anni dopo nella prefazione a una nuova edizione del libro (ripubblicato da e/o, uscirà la prossima settimana): Mary Karr per anni ha ricevuto cinquecento lettere alla settimana, di lettori che avevano capito qualcosa in più di sé e della propria famiglia disfunzionale, di un dolore che avevano tenuto chiuso dentro e che adesso veniva consolato, o almeno dava l’impressione di essere compreso, esorcizzato. “Un ragazzo mi ha confidato che, quand’era ancora in fasce, i genitori spacciatori gli cucivano dosi d’eroina nel pigiamino e se lo trascinavano da una parte all’altra di vari confini. E ad appena cinque anni una donna aveva dovuto cercare di impedire al fratellino di guardare mentre la madre alcolista si impiccava”.
Il club dei bugiardi è la storia di una famiglia felice a modo proprio, con picchi di disperazione e difficoltà, e discussioni che sarebbe stato più esatto chiamare esaurimenti nervosi, sparatorie, incendi. “Mia madre grida, grida a squarciagola che vorrebbe essere morta prima ancora di conoscere papà. Vorrebbe che un fulmine l’avesse stecchita proprio qui, su questo ponte, prima che lo attraversasse e mettesse piede in quel cazzo di pantano”. Grida in auto, mentre guida, con due bambine piccole nel sedile posteriore, terrorizzate, mentre il padre prende a pugni la madre per prendere il controllo dell’automobile e impedirle di uccidere tutti. Il giorno del compleanno di Mary. Di questa infanzia e adolescenza in una delle città più brutte d’America, con il cuore in gola sempre, sapremo quasi tutto leggendo Il club dei bugiardi. Una bambina gracile che voleva diventare scrittrice e che annotò sul suo diario, a dieci anni: “Da grande scriverò metà poesia e metà autobiografia”. Che rischiò parecchie volte di non diventare grande. Finché incontrò, poco più che ventenne, un agente letterario che le porse il suo biglietto da visita. “Ho avvertito mia madre e mia sorella in anticipo che volevo raccontare il periodo del crollo psicologico di mia madre e il suo divorzio da papà… mia madre mi disse, che diavolo, fai pure”. Mary Karr ha cambiato la storia del memoir e ha regalato a moltissime persone la speranza in fondo allegra che si può attraversare l’inferno e restare vivi. E raccontarlo. I vincitori sono quelli che possono raccontarlo.