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Elena Ferrante, tredici lettere, né più né meno

Autore: Cristina Catanese
Testata: Tropismi
Data: 31 ottobre 2017
URL: http://www.tropismi.it/elena-ferrante/

Il mio primo contatto con Elena Ferrante l’ho avuto nel 2014. Ero in vacanza e un’amica mi consigliò L’amica geniale, primo volume della tetralogia che ha reso famosa la scrittrice. Alla fine delle vacanze mi trovavo a Fiumicino, dovevo aspettare un bel po’ prima di prendere il mio aereo e così acquistai il romanzo e cominciai a leggerlo. Le pagine scorrevano veloci e non ci misi molto a terminarlo. Leggevo soprattutto di notte, il silenzio giovava alla storia. Quando terminai il primo volume, corsi a comprare gli altri e aspettai l’uscita dell’ultimo. Ero davvero presa dalla trama, sebbene abbia apprezzato più i primi due volumi (L’amica geniale e Storia del nuovo cognome) piuttosto che gli ultimi. La sensazione che ho vissuto in quelle settimane è stata poi rinominata negli Stati Uniti con il nome di Ferrante fever, una vera e propria febbre per quest’autrice che ha ottenuto un successo più internazionale che nazionale. Ferrante171931939-17016dff-ad6a-498a-9968-a7012f42fdea fever è anche il nome del documentario, ideato da Giacomo Durzi e Laura Buffoni, proiettato nelle sale all’inizio di ottobre c.m. (n.d.a). Nel documentario si parla soprattutto del successo che Ferrante ha ottenuto negli Stati Uniti: basti pensare alla foto di James Franco con My brilliant friend (traduzione de L’amica geniale) o a Hillary Clinton che durante la sua campagna presidenziale ha definito la tetralogia “ipnotica”. Nel documentario vengono intervistati molti autori stranieri come Jonathan Franzen ed Elisabeth Strout, senza contare Michael Reynolds (The New Yorker) e Ann Goldstein (traduttrice dei romanzi della Ferrante). Inoltre, prendono parte al documentario Roberto Saviano, Nicola Lagioia, Mario Martone. Ma perché tutta questa concentrazione sul caso Ferrante? Per chi non lo sapesse tutto ciò deriva dal fatto che Elena Ferrante non si è mai fatta vedere in pubblico, nessuno sa chi sia e questo ha innescato curiosità, talvolta ai limiti dell’inverosimile. Basti pensare a Claudio Gatti che ha pubblicato un articolo riguardo la vera identità della scrittrice, utilizzando dati personali quali entrate e acquisti da parte di Anita Raja, traduttrice per la casa editrice E/O e moglie di Domenico Starnone. Ma non solo Gatti ha avanzato ipotesi, molti sono i giornalisti che si sono interessati e hanno associato al suo pseudonimo vari nomi: Domenico Starnone, Goffredo Fofi, Anita Raja, Fabrizia Ramondino.

Qual è l’identità che più la intriga fra quelle avanzate: Starnone, Fofi, Ramondino? Nessuna, mi pare un gioco banale dei media. Si prende un nome di scarsa consistenza, il mio, e lo si associa a nomi di maggior rilievo. Non accade mai il contrario. A nessun giornale verrebbe in mente di riempire una pagina con l’ipotesi che i miei libri siano stati scritti da un anziano archivista in pensione o da una giovane bancaria neoassunta. Che devo dirle? Mi dispiace che vengano infastidite persone che stimo. (La frantumaglia)

L’ossessione di scoprire chi sia davvero la Ferrante è cresciuta durante il 2015, quando Storia della bambina perduta (quarto e ultimo volume de L’amica geniale) è stato candidato al premio Strega (vinto da Nicola Lagioia con La ferocia). Il fatto che il romanzo fosse arrivato tra i cinque finalisti ha indotto i media a pubblicare articoli su articoli come se si dovesse scoprire il colpevole di un romanzo giallo. L’attenzione si è concentrata su di lei soprattutto perché se avesse vinto, sarebbe andata a ritirare il premio? Eppure, credo, che questo sia anche dovuto all’evoluzione della tecnologia, al voler essere sempre sul pezzo e al successo che la Ferrante ha ottenuto nel mondo perché anche nel 1992 la scrittrice fu candidata al Premio Strega con L’amore molesto e già a quei tempi aveva deciso di non rivelarsi mai, scrivendo a Sandro Ferri e Sandra Ozzola, direttori della casa editrice E/O, che da sempre pubblica i suoi lavori: «Non intendo fare niente per L’amore molesto, niente che comporti l’impegno pubblico della mia persona. Ho già fatto abbastanza per questo lungo racconto: l’ho scritto; se il libro vale qualcosa, dovrebbe essere sufficiente. Non parteciperò a dibattiti e convegni, se mi inviteranno. Non andrò a ritirare premi, se me ne vorranno dare. Non promuoverò il libro, mai, soprattutto in televisione, è in Italia né eventualmente all’estero. Interverrò solo attraverso la scrittura, ma tenderei a limitare al minimo indispensabile anche questo. Mi sono definitivamente impegnata in questo senso con me stessa e con i miei familiari. Spero di non essere costretta a cambiare idea. […] Del resto, non è vero che le promozioni costano? Io sarò l’autrice meno costosa della casa editrice. Persino la mia presenza vi sarà risparmiata.»

Ma perché piace Elena Ferrante? Probabilmente perché nella sua lunga produzione tratta varie tematiche in cui, al centro, ci sono le donne, fragili e forti allo stesso tempo, che lottano con una società patriarcale, sono donne borghesi che vogliono affermarsi e che, durante questo processo, devono affrontare i cambiamenti del loro corpo, della loro situazione, devono fronteggiare ciò che gli succede evitando di finire nel baratro. Inoltre, occorre menzionare che le donne della Ferrante sono umaniste, forse un legame con la stessa autrice: c’è chi è fumettista, chi scrittrice, chi insegnante.

Le mie donne sono forti, colte, consapevoli di sé e dei loro diritti, giuste, ma, contemporaneamente, esposte a cedimenti improvvisi, a subalternità di ogni tipo, a cattivi sentimenti. Le donne della Ferrante fra Napoli, bambole, frantumaglia e smarginatura Come detto sopra, tutto ruota intorno all’essere femminile fin dal primo romanzo, L’amore molesto, in cui una giovane donna, Delia, che nella vita fa la fumettista, è costretta a tornare a Napoli perché sua madre Amalia è morta. In tutto il romanzo è preponderante il rapporto madre-figlia, tanti sono i ricordi che attanagliano Delia, un romanzo che a tratti attinge al genere giallo: esiste un colpevole per la morte di Amalia? Si è suicidata oppure no? Fin dalle prime pagine si notano sia un attaccamento che una repulsione per Amalia, figura morta ma viva.

Tra qualche tempo avrei perso anche la possibilità di avere figli. Nessun essere umano si sarebbe staccato mai da me con l’angoscia con cui io mi ero taccata da mia madre soltanto perché non ero riuscita mai ad attaccarmi a lei definitivamente. Non ci sarebbe stato nessun più e nessun meno tra me e un altro fatto di me. (L’amore molesto) Il ritorno di Delia a Napoli la fa scontrare con i motivi per i quali si era trasferita altrove. Tutto ciò è enfatizzato nella trasposizione cinematografica di Martone: il dialetto, le parole grevi, il caos di Napoli e gli uomini rozzi la inglobano, la riportano all’origine. L’assenza di Amalia diventa presenza, tra le righe leggiamo che è proprio l’amore della figlia nei confronti della madre a essere molesto, come scrive la stessa Ferrante ne La frantumaglia, una raccolta di lettere e interviste pubblicato nel 2003 e ampliato nel 2016: «il titolo stesso del libro (L’amore molesto), per esempio, conserva traccia di un passaggio del saggio di Freud sulla Sessualità femminile (1931) a proposito della fase preedipica della donna: “In realtà durante questa fase” scrive Freud nell’italiano dei suoi traduttori, “il padre non è per la bambina che un rivale molesto…”. Rivale molesto. Colui che contende alla bambina l’amore della madre. […] La considerai un buon titolo: Il rivale molesto. Poi però il rimando all’imago paterna mi sembrò fuorviante e, con uno slittamento importante per me, scelsi infine L’amore molesto. Mi sembrò aderente al racconto che fosse molesto l’amore, l’amore che fa del padre il rivale della figlia, l’amore esclusivo per la madre, l’unico grande tremendo amore originario, la matrice inabolibile di tutti gli amori.»

La maternità e la gravidanza sono temi che si ritrovano anche nei due successivi romanzi della Ferrante: I giorni dell’abbandono (2002) e La figlia oscura (2006). Nel suo secondo romanzo, Elena Ferrante tratta un tema delicato: l’abbandono vissuto da una donna da parte di un marito che non la ama più. Olga, la protagonista, «sperimenta fino in fondo che ogni abbandono è un gorgo e un azzeramento, forse anche una spia del deserto che ci è cresciuto intorno. Ma reagisce, si risolleva, vive.» Anche in questo romanzo, come nel precedente, si parla di madre e figlia, di Olga e Ilaria che, come Delia e Amalia, non hanno un buon rapporto. Ma Olga «riesce a compiere un percorso che le permette di accettare l’amore ostile di Ilaria come un sentimento vitale, utilizzabile contro la fascinazione di morte che viene dal passato.» Olga, straziata dal dolore, si perde e teme di diventare come la poverella, una donna napoletana lasciata dal marito. Deve badare ai figli piccoli, al cane Otto che era stato portato in casa dal marito, deve fare i conti con se stessa e con il fatto che il marito abbia un’altra donna, più giovane, forse più attraente di lei. È così che ripercorre le tappe della sua relazione, non accetta – inizialmente – che l’amore sia finito, nega l’evidenza. Soltanto verso la fine del romanzo, Olga riemerge dal baratro e respira. Ne La figlia oscura, invece, la Ferrante comincia a trattare una tematica che sarà predominante ne L’amica geniale. Leda, la protagonista di quarantotto anni, decide di andare in vacanza sulla costa ionica. Anche lei è madre ed è separata: le sue figlie, da un po’ di tempo, abitano con il padre in Canada e questo fa stare bene Leda, la fa sentire, anche se con un po’ di vergogna, libera. Una vacanza tranquilla diventa inquieta per un’ossessione che la protagonista comincia a maturare. Tra i suoi vicini di ombrellone (una famiglia dalle cui descrizioni si intuisce che sia una famiglia camorristica) ci sono una madre e una figlia: Nina ed Elena. Le due stanno sempre insieme, Elena, la figlia, richiede continuamente attenzioni materne e – allo stesso tempo – finge di essere madre della sua bambola. Leda è attratta da questo rapporto, vuole a tutti i costi essere amica di Nina e osserva il rapporto triangolare tra Nina, Elena e la bambola. Un giorno Elena si perde in spiaggia e tutta la famiglia comincia a cercare. Anche Leda lo fa e riesce a ritrovare la bambina, a quel punto scatta la conoscenza tra Nina e Leda che, ammaliata dalla ragazza-madre, ricerca le sue attenzioni proprio come fa la figlia. Da qui nasce uno strano rapporto, un esordio di amicizia che, però, non si compirà fino in fondo a causa di un gesto, consapevole e inconsapevole simultaneamente, che Leda farà. La tematica della bambola si ritrova sia in La spiaggia di notte, un racconto per bambini pubblicato (sempre da Edizioni E/O) nel 2007 e all’inizio de L’amica geniale. La Ferrante ha affermato che l’esperienza de La figlia oscura ha avuto paura di essersi spinta troppo oltre, «come se non riuscissi a governare il mondo di Leda secondo la prassi dei primi due racconti. Quei due elementi – il fondo oscuro del rapporto madre-figlia e un’amicizia in boccio altrettanto oscura – mi portavano sempre più lontano nell’esplorazione del rapporto complicato che si crea tra donne. […] Alla fine il racconto si è compiuto e tra molte ansie l’ho pubblicato. Ma per qualche anno ho continuato a girarci intorno, sentivo che dovevo tornarci. Non è un caso che, quando sono approdata all’Amica geniale, sono ripartita da due bambole e da un’intensa amicizia femminile colta sul nascere.»

Animazioni di Mara Cerri e Magda Guidi (2) La tetralogia de L’amica geniale è la storia dell’amicizia fra Elena Greco (narratrice) e Lina Cerullo, due bambine che vivono in un rione napoletano degli anni Cinquanta. Le due sono molto diverse fra loro e per tutti e quattro i romanzi si assisterà a un’amicizia intensa, resa possibile non solo dall’affetto ma anche dall’odio e dal desiderio di prevalere sull’altra. L’arco di tempo in cui è ambientata la storia abbraccia circa sessant’anni tanto che il lettore potrà leggere della faticosa vita a Napoli, delle lotte in fabbrica, dell’università negli anni Settanta, delle rivolte studentesche. La Storia si interseca nella storia, ma questo legame non incide sul tema principale: l’amicizia tra le due bambine, poi ragazze, poi donne.

Nella relazione tra Elena e Lila accade che Elena, la subalterna, ricavi proprio dalla sua subalternità una sorta di brillantezza che disorienta, che abbaglia Lila. È un movimento difficile da raccontare, ma mi ha interessata per questo. Diciamo così: i moltissimi fatti della vita di Lila ed Elena mostreranno come l’una tragga forza dall’altra. Ma attenzione: non solo nel senso di aiutarsi, ma anche nel senso di saccheggiarsi rubarsi sentimento e intelligenza, levarsi reciprocamente energia. (La frantumaglia) Ambientazione della tetralogia è Napoli, città dell’autrice (secondo ciò che lei ha dichiarato). Napoli non è soltanto la città di Elena e Lina, ma anche di tutte le altre donne dei romanzi della Ferrante che – anche se trasferitesi altrove – continuano a sentire il legame con la città partenopea: Napoli «non è un luogo qualsiasi, è un prolungamento del corpo, è una matrice della percezione, è il termine di paragone di ogni esperienza. Tutto ciò che per me è stato durevolmentePh. di Lorenzo Ambrosino (3) significativo ha Napoli per scenario e suona nel dialetto. […] La mia Napoli è la Napoli “volgare” di gente “sistemata” ma ancora terrorizzata dalla necessità di tornare a doversi buscare la giornata con lavoretti precari, pomposamente nesta ma, nei fatti, pronta a piccole nefandezze per non sfigurare, chiassosa, di voce alta, sbruffona, laurina ma anche, per certe ramificazioni, stalinista, affogata nel dialetto più angoloso, sboccata e sensuale, senza ancora il decoro piccolo-borghese ma con la pulsione a darsene almeno i segni superficiali, perbene e potenzialmente criminale, pronta a immolarsi all’occasione, o alla necessità, di non dimostrarsi più fessi degli altri.» (La frantumaglia)

Le donne forti, ma esposte a crolli improvvisi, sono il cuore pulsante dei romanzi dell’autrice, tutte esposte a due concetti ritenuti – oramai – ferrantiani: la frantumaglia e la smarginatura. La frantumaglia, da cui prende anche il nome la raccolta di lettere, interviste e articoli dell’autrice, è un termine tipicamente dialettale che la Ferrante ha ereditato dalla madre: «Mia madre mi ha lasciato un vocabolo del suo dialetto che usava per dire come si sentiva quando era tirata di qua e di là da impressioni contradditorie che la laceravano. Diceva che aveva dentro una frantumaglia. La frantumaglia (lei pronunciava frantummàglia) la deprimeva. A volte le dava capogiri, le causava un sapore di ferro in bocca. Era la parola per un malessere non altrimenti definibile, rimandava a una folla di cose eterogenee nella testa, detriti su un’acqua limacciosa del cervello. La frantumaglia era misteriosa, causava atti misteriosi, era all’origine di tutte le sofferenze e non riconducibili a una sola evidentissima ragione. […] Spesso la faceva anche piangere, e il vocabolo mi è rimasto in mente dall’infanzia per definire innanzitutto i pianti improvvisi e senza una ragione consapevole: lacrime di frantumaglia. […] Oggi ho in mente un catalogo di immagini che però hanno a che fare più con i miei problemi che con i suoi. La frantumaglia è un paesaggio instabile, una massa aerea o acquatica di rottami all’infinito che si mostra all’io, brutalmente, come la sua vera e unica interiorità. La frantumaglia è il deposito del tempo senza l’ordine di una storia, di un racconto. La frantumaglia è l’effetto del senso di perdita, quando si ha la certezza che tutto ciò che ci sembra stabile, duraturo, un ancoraggio per la nostra vita, andrà a unirsi presto a quel paesaggio di detriti che ci pare di vedere. La frantumaglia è percepire con dolorosissima angoscia da quale folla di eterogenei leviamo, vivendo, la nostra voce e in quale folla di eterogenei essa è destinata a perdersi.» Attraverso la lettura dei romanzi della Ferrante, si noterà come tutte le donne appartenenti all’universo della scrittrice attraversino un periodo di frantumaglia, fatto di dolore e di frattura dell’io. Proprio dalla frantumaglia, da questa sensazione, nasce un’altra parola del lessico della Ferrante: smarginatura. Ritroviamo la spiegazione di questo termine ne L’amica geniale: «Il 31 dicembre del 1958 Lila ebbe il suo primo episodio di smarginatura. Il termine non è mio, lo ha sempre utilizzato lei forzando il significato comune della parola. Diceva che in quelle occasioni si dissolvevano all’improvviso i margini delle persone e delle cose. […] Nell’occasione in cui mi fece quel racconto, Lila disse anche che la cosa che chiamava smarginatura, pur essendole arrivata addosso in modo chiaro solo in quell’occasione, non le era del tutto nuova. Per esempio, aveva già avuto spesso la sensazione di trasferirsi per poche frazioni di secondo in una persona o una cosa o un numero o una sillaba, violandone i contorni.»

L’amica geniale non è soltanto la storia di un’amicizia, ma anche quella di una sparizione, quella di Lila, che vuole soltanto smarginarsi completamente. Del resto, Ferrante afferma da che spunto sia nata la storia: «Parecchi anni fa mi venne in mente di raccontare l’intenzione di una persona anziana di sparire – che non significa morire –, senza lasciare traccia della propria esistenza. Mi seduceva l’idea di un racconto che mostrasse quanto è difficile cancellarsi, alla lettera, dalla faccia della terra. Poi la storia si è complicata. Ho introdotto un’amica d’infanzia che facesse da testimone inflessibile di ogni piccolo o grande evento della vita dell’altra. Infine mi sono resa conto che ciò che mi interessava era scavare dentro due vite femminili ricche di affinità e tuttavia divergenti. È ciò che ho fatto. Certo, si tratta di un progetto complesso, la storia abbraccia una sessantina d’anni. Ma Lila ed Elena sono fatte con la stessa pasta che ha nutrito gli altri romanzi.»

Dopo aver fatto un’immersione tra i romanzi della Ferrante, ci interessa davvero sapere chi sia? Di lei sappiamo poco, come ha riportato James Wood sul The New Yorker: «sappiamo che è cresciuta a Napoli, e ha vissuto per vari periodi fuori dall’Italia. Ha una laurea in Lettere; ha riferito di essere una madre. Qualcuno potrebbe anche dedurre dai suoi romanzi e dalle sue interviste che ora non è sposata (“Negli anni, mi sono trasferita spesso, in generale controvoglia, per necessità…Non sono più dipendente dei movimenti degli altri, solo da me” sono le sue parole.) Oltre alla scrittura, “Studio, traduco, insegno.”» Oltre a queste note biografiche (che possono essere vere quanto non), non sappiamo altro. Nonostante il clamoroso successo, la Ferrante ha deciso di restare lontana dai riflettori in quanto «non è la mia assenza a generare interesse per i miei libri ma è l’interesse per i miei libri a generare attenzione mediatica nei confronti della mia assenza. Temo insomma che le mie scelte siano più un problema dei giornalisti – del resto è il loro lavoro –, che del pubblico. Ai lettori, secondo me, interessa il libro e l’energia che sprigiona.»

Insomma, chi è Elena Ferrante? I suoi romanzi. E questo, al lettore, deve bastare.