In Piccola dea come ne L’amica geniale si indaga senza pudore negli anfratti più l'amica genialenascosti del rapporto tra due esseri umani, si cerca febbrilmente il momento di cesura dall’infanzia in cui la nostra mente smette di funzionare all’unisono con quella della persona con cui siamo più in sintonia e si svelano tutte le più scomode implicazioni di quei rapporti così profondi che è riduttivo chiamare amicizie. Questi romanzi mostrano senza vergogna tutta la trama di senso di colpa, invidia, gelosia, bisogno, egoismo e noncuranza che orbitano intorno al volersi bene ed è per questo che è impossibile restarvi indifferenti: o ci si riconosce in queste parole e li si ama, o li si odia.
Se la voce de L’amica geniale è morbida, profonda e riflessiva, in Piccola dea troviamo uno stile più secco e serrato, forse più convenzionale, che regala tuttavia alcuni momenti emozionanti. Trattandosi di un’opera più breve, anche gli interrogativi sollevati dal romanzo di Rufi Thorpe sono più espliciti e brutali di quelli della Ferrante: fino a che punto le nostre scelte condizionano la nostra vita? Esistono davvero i rapporti disinteressati o in tutte le nostre amicizie non facciamo in realtà altro che cercare noi stessi?
Come in tutta la buona letteratura avviene, queste domande non trovano una risposta precisa ma sono presentate con tanta vibrante sapienza che il lettore se le porrà a lungo dopo la fine del libro. Più sommessa e insinuante, Rufi Thorpe ed Elena Ferrante posizionano invece una piccola certezza: tutti siamo l’amica geniale e la piccola dea di qualcun altro.