Roma. Un uomo di trent'anni è rinchiuso in una Cinquecento davanti a un palazzone della Garbatella. È imbottito di pasticche, delira. O forse è troppo lucido. Sta aspettando che passi Mario Malatrasi, il suo vecchio allenatore di calcio. Vuole ucciderlo. È lui il colpevole delle tante delusioni che la vita ha già riservato a chi ormai ha deciso di vendicarsi, di aggredire, di esplodere dopo troppi anni di rancori, frustrazioni, impotenze. Sullo sfondo di una Roma anni '90 non così diversa da quella attuale, “Il calciatore” (esordio di Governi nel 1994, ora giustamente riproposto) è la storia di un perdente folle e di talento, tanto improbabile quanto capace di suscitare simpatia, condannato all'insuccesso e a un grottesco degrado. Tutto il racconto, giocato in una delirante rovesciata nel tempo, si fonda su una lunga, ininterrotta metafora: l'io narrante, tagliato fuori dal gioco dell'esistenza, deve trovare un bersaglio, un nemico per far esplodere rabbia e senso di nullità, odio e fragilità. Una scrittura secca, efficace e lucida, una storia magistralmente costruita e raccontata.