Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Intervista a Piergiorgio Pulixi – La scelta del buio

Autore: Mirko Giachetti
Testata: MilanoNera
Data: 9 ottobre 2017
URL: http://www.milanonera.com/intervista-piergiorgio-pulixi-la-scelta-del-buio-canti-del-male/

Piergiorgio Pulixi è tornato in libreria con il suo nuovo romanzo La scelta del buio, il secondo capitolo del ciclo I canti del male che ha come protagonista il commissario Vito Strega.

Reduce dalla brutta esperienza di alcuni adolescenti assassini (Il canto degli innocenti), Strega viene reintegrato nel servizio operativo. Dopo essere stato parcheggiato qualche mese dietro a una scrivania a snellire le scartoffie, viene assegnato alle indagini del suicidio di un collega.

I superiori pretendono rapidità e discrezione, per molti si tratta di un caso semplice da chiudere senza troppi pensieri. Alcuni dettagli insignificanti sulla scena del crimine conducono però verso il cuore nero del Male. Una serie apprezzata sia dal pubblico che dalla critica in cui il protagonista Vito Strega è un uomo con uno spiccato senso della giustizia e saldi valori morali. Nei suoi trascorsi esistenziali ci sono un passato militare secretato e tre lauree in psicologia, filosofia e giurisprudenza.

La redazione di Milano Nera ha il piacere di ospitare Piergiorgio Pulixi per una breve intervista.

Ciao Piergiorgio, grazie per la tua disponibilità.

La prima domanda è: chi è Vito Strega e cosa ci fa uno come lui in Polizia?

Strega è un buon poliziotto. È un uomo molto alto e imponente, il cui carattere stride col suo aspetto fisico, perché è una persona introversa, ombrosa, sfuggente, tesa più all’introspezione. Grande osservatore, negli anni ha maturato l’abilità di leggere i comportamenti delle persone, mettendo a nudo le loro anime. Il suo retroterra culturale lo rende un funzionario di polizia molto preparato, ma il vero distinguo è il suo caratteristico approccio all’indagine che è di tipo mimetico: s’immedesima in toto con la vittima o con il carnefice, fino a ragionare come loro, fino a essere loro, per risalire al contesto in cui è maturato il delitto. Questa sua propensione, però, spesso travalica i limiti del lecito, trasformandosi in ossessione. Il dolore, il senso di colpa, e la “passione” per le vittime, sono le sue leve psicologiche che lo mettono in opera, facendolo sentire latore di giustizia. La sua più che una professione è una missione. Strega, al tempo stesso, è però un uomo che probabilmente si è addentrato troppo spesso nel buio per andare a caccia di chi, nel buio, aveva deciso di viverci. Questo l’ha portato a essere un investigatore senza requie, che vive i propri casi in modo totale e totalizzante, ma al tempo stesso l’ha reso una persona solitaria che fatica a trovare il proprio spazio in ambito sociale.

Le storie di criminali e poliziotti, nel corso degli anni, sono passate da semplice intrattenimento a letteratura “nobile”. Dove collochi le storie che fanno parte de I canti del male?

Non saprei. Ogni volta che scrivo, cerco di dare ai lettori ciò di meglio che ho e che posso offrire. L’intento primigenio è sempre quello di far evadere le persone, e far vivere loro qualche ora di totale immersione nella storia, arricchendole se possibile, ma soprattutto emozionandole. Se in questo processo si riesce anche a coniugare alla fiction un’analisi sociale, o far scivolare sotto l’impianto della storia qualche informazione di denuncia sociale, credo che questo faccia la differenza e rappresenti un valore aggiunto.

Oltre a Vito Strega hai “messo sulla pagina” anche Biagio Mazzeo. Sono due poliziotti agli antipodi per metodi, inclinazione e carattere. Tu che li conosci bene, sai come reagirebbero se dovessero sedersi l’uno di fronte all’altro?

Sono davvero due persone molto diverse. Credo che in certi momenti, e in situazioni parecchio estreme, possano arrivare a condividere una certa idea di giustizia che poco ha a che fare con i codici, ed è molto più legata per prossimità viscerale alla giustizia privata per non dire vendetta. Il punto è che Strega riesce ad avere un’autoconsapevolezza tale da riuscire a soffocare questi bassi istinti, Mazzeo non ci pensa nemmeno e si scaglia senza pensarci due volte.

Mai dire mai. Pensi che i due possano ritrovarsi coinvolti nello stesso caso?

Forse in una veste ufficiale l’uno, e in una non ufficiale l’altro. Perché no? Le loro indagini potrebbero portarli a incrociarsi e a unire le forze per far fronte a una minaccia comune. Chi lo sa…

Leggendo i tuoi romanzi si capisce che della Polizia non hai una conoscenza superficiale, dimostri di conoscerla oltre la cronaca e la televisione. Vuoi rivelarci le tue fonti?

Col tempo, a furia di fare domande, cercare contatti, smuovere storie legate alla cronaca, ci si crea una rete di fonti e consulenti, da avvocati penalisti, passando per magistrati e cronisti di nera, per arrivare ovviamente a funzionari di polizia e carabinieri. Attingo molto a queste persone per valutare la verosimiglianza delle procedure che descrivo, anche se spesso bisogna trovare il giusto equilibrio tra verosimiglianza e fiction. Il sentimento e l’emozione devono prevalere sulla verosimiglianza, perché comunque stiamo parlando di romanzi, non di saggi. Ma cerco di essere il più aderente possibile alla realtà e alle reali tecniche e procedure investigative. Ne “La scelta del buio” è stato basilare lo studio di un testo clinico che analizza la sindrome da burnout nel mondo delle forze dell’ordine.

Non solo Vito Strega. Con l’editore Cento Autori hai anche pubblicato L’ira di Venere, una raccolta di racconti di follia, crimine e vendetta declinati in rosa. Nel corso degli anni hai dimostrato una grande attenzione e sensibilità verso l’universo femminile, vuoi parlarcene?

Mi sembrava quasi un imperativo morale, in questo momento di totale attacco al mondo femminile, di dire la mia, o quantomeno fare un atto di accusa nei confronti di questa ondata di violenza di genere (e nei confronti di noi uomini), cercando con molta umiltà di provare ad andare alle radici del problema; problema che a mio avviso è essenzialmente culturale e deriva da una mancata educazione sentimentale e di genere. Questo non giustifica nessun comportamento, beninteso, ma se si vogliono degli adulti illuminati, bisogna educarli al rispetto e ai sentimenti sin da bambini, in famiglia e a scuola in primis. Una vera educazione sentimentale in Italia non è mai esistita. Questo sulla lunga distanza può portare ai risultati che purtroppo leggiamo sempre più spesso sulle pagine della cronaca. “L’ira di Venere” sono venti storie, venti graffi sull’anima duri ma necessari, per entrare nella mente di queste donne, sia vittime che carnefici, e per provare a guardare il mondo dalla loro prospettiva.

Parliamo di un altro sorvegliato speciale della letteratura noir, Massimo Carlotto. Lo conosci, sei suo complice in Lovers Hotel?

Massimo è un Maestro, sia di letteratura che di umanità e professionalità. Ciò che mi ha sempre colpito di lui – una sua dote che spesso rimane sottotraccia, nascosta dietro altre più evidenti – è la profonda curiosità intellettuale. È una persona sempre vigile, costantemente in cerca di stimoli e di nuovi territori da esplorare a livello narrativo. Ciò lo rende un autore profondamente legato ai nostri tempi e abile a leggere la realtà corrente, perché ci si immerge con maestria, intingendo la propria penna di quel magma di sentimenti umani, fatti, devianze, desideri e bisogni, che sono la realtà. Da questo punto di vista è un esempio da seguire: un artista che non si accontenta mai, e guarda sempre avanti, rinnovandosi e rinnovando la propria poetica. Lovers Hotel è un perfetto esempio di questa sua attitudine e apertura ai cambiamenti.

Non c’è intervista che si rispetti se non si conclude con la classica: progetti futuri?

Ho deciso di differenziare la scrittura e i progetti per pubblici diversi; dall’anno prossimo infatti continuerò a scrivere per adulti, ma inizierò a farlo anche per bambini e young-adult.

Grazie mille Piergiorgio, buona scrittura.