Scrive tanto, scrive bene, i suoi libri vanno a ruba e può capitare d'ascoltare i suoi lettori che parlano di lui come di uno di famiglia. I polizieschi di Piergiorgio Pulixi fanno incetta di consensi e a dirlo è anche la sfilza di premi e piazzamenti che io scrittore sardo (è nato a Cagliari nel 1982) può vantare: basti pensare, fra gli altri, al Premio Glauco Felici per La notte delle pantere e al Premio Franco Fedeli per Il canto degli innocenti. Pulixi sarà giovedì a Roseto degli Abruzzi, dove alle 18.30 al Palazzo del Mare presenterà il suo nuovo libro La scelta del buio (e/o, pp. 188, euro 16), che ha per protagonista il commissario Vito Strega. L'incontro è un'anteprima del festival Fuori dal coro ed è organizzato dalla Libreria Ubik e dall'associazione Elle Emme. La Città lo ha intervistato.
Nella narrativa dei nostri anni spopolano gialli, noir, thriller, con il conseguente surplus di commissari, investigatori e Ispettori. In questo mare magnum sei uno degli autori più letti e amati. Che indirizzo dai alla tua narrativa?
«Dipende dal tipo di romanzo che sto scrivendo. Al di là del puro intrattenimento, che pure deve esserci, perché sono romanzi che devono far evadere le persone, se riesco a far riflettere su alcuni temi legati alla cronaca, magari anche attraverso storie scomode, sono soddisfatto. Quello che mi sta più a cuore è andare oltre la superficialità e raccontare l'erosione dell'animo umano».
La scelta del buio racconta un male corrosivo, che intossica e contagia chi lo incontra, che s'infiltra in chi lo sfiora ...
«La serie dei Canti del male - che per ora comprende Il canto degli innocenti e appunto La scelta del buio - vuole essere una sorta di affresco della malvagità, ogni libro sarà un'analisi del male. La tesi è che il male cambia le persone. La domanda che rivolgo ai lettori è questa: se questo assunto è vero, il mutamento è più vicino a una persona che tocca il male per lavoro, come un poliziotto? Con i miei libri cerco di verificare questa tesi. Credo che Vito Strega abbia una fascinazione per il male, ci si è avvicinato così tanto che alla fine ne subisce le lusinghe. Anche se tiene salva la sua morale, sicuramente un po' del male che ha vissuto gli è rimasto dentro».
È attratto da quel che gli è opposto, è attratto dal suo nemico...
«Penso di sì, lui è un criminologo, il suo retroterra culturale è quello di uno psicologo clinico. Strega entra molto in empatia con le menti criminali su cui indaga, il suo è un approccio mimetico: cerca di penetrarle per capire come sono andate le cose. Perciò ogni sua indagine diventa anche un'indagine su se stesso. È chiaro, Strega non giustifica i criminali, ma vuole capire le meccaniche più intime dell'animo umano. In questo senso c'è una certa comunanza con le persone a cui dà la caccia. Condividono non a caso lo stesso territorio, ossia il buio: e così la scelta del buio è per lui anche una scelta di campo».
Si spiega cosi l'esergo di Dostoevskij che apre il libro?
«Dostoevskij è uno dei miei modelli, volevo indicare il fatto che Strega non si accontenta della ventà di superficie, della verità apparente, ma è uno che va a fondo alle cose, a costo di inimicarsi superiori e colleghi».
Fra gli scrittori italiani contemporanei quali sono gli autori che ami di più?
«Il primo è Massimo Carlotto, è il mio maestro, perché vengo dalla sua scuola. Tra i noiristi mi piacciono Maurizio de Giovanni, Antonio Manzini e Giampaolo Simi».
Nel profilare il personaggio di Vito Strega hai per caso fatto tue anche delle suggestioni cinematografiche?
«Più che cinematografiche, direi legate a una serie tv della Bbc che s'intitola Luther. Parla di un investigatore di colore che opera a Londra in una sezione partlcolare legata a crimini violenti. Per certi versi è simile a Strega».
Leggendo il libro si direbbe che conosci come le tue tasche gli ambienti delle questure, le procedure, il clima umano che vi si respira...
«Scrivendo polizieschi, col tempo ti fai una cerchia di fonti investigative, tra giornalisti di nera, avvocati, magistrati e poliziotti. Un po' questa esperienza mi deriva proprio dal rapporto con le fonti e dalle informazioni che mi danno, laddove possono darmele. Cerco di andare sempre più vicino possibile alla fonte primaria dell' informazione ».
La realtà prima di tutto...
«Le mie storie partono quasi sempre da un dato di realtà, che poi trasfiguro narrativamente. L'aderenza alla realtà e la verosimiglianza delle procedure e dell'ambiente sono parti importanti della mia scrittura. Anche per spiegare cosa significhi essere un poliziotto, cosa significhi stare dall'altra parte della barricata».
L'indagine con cui Vito Strega deve vedersela ha a che fare col suicidio di un collega. Nel romanzo si parla anche della sindrome di burnout e dell'alto tasso di suicidi che affligge le forze di polizia. Sono dati reali?
«Sono dati reali. La fonte è il saggio clinico Lavorare in polizia: stress e burnout di Francesco Carrer e Sergio Garbarino, il quale è vicequestore di Polizia e medico neurologo. Carrer è invece un criminologo. I due autori hanno fatto un'indagine sullo stress di chi lavora nella Polizia di Stato. Ne è emerso che in termini psicosomatici lo stress incide a più livelli sulla professionalità. Il tasso di suicidi è praticamente doppio - non propriamente doppio, ma quasi - rispetto a quello dei civili. Non è detto ovviamente che ci sia una correlazione tra suicidi e lavoro, ma che se ne verifichino così tanti è un campanello d'allarme. Il Dipartimento di Polizia ha adottato delle politiche in aiuto degli operatori, ai quali viene offerto anche sostegno psicologico in forma anonima, proprio per fare fronte al problema».
Quindi in qualche modo la lettura di questo libro scritto da Garbarino e Carrer ha funzionato come una sorta di attivante del romanzo, una specie di acceleratore...
«Ti dicevo che parto sempre dalla cronaca. Quello era stato un periodo in cui, attraverso la stampa, avevo letto di diversi suicidi di poliziotti. Da lì ho voluto concentrarmi sul problema e cosi sono arrivato al libro di Garbarino e Carrer. Sui dati, tutti presi da fonti verificabili, ho innestato la fiction».