Torna Patrizia Rinaldi con un romanzo profondo e lucido. La figlia maschio è un viaggio in Cina che lega quattro protagonisti. Diversi e intrecciati. Donne e uomini. Personalità forti e deboli, insieme.
Ruotano attorno a questo viaggio raccontando il loro punto di vista e, inevitabilmente, raccontando di sé. C’è un trafficante criminale il cui malessere di vivere travolge la vita della moglie, che non ama. Possiede, odia, racconta menzogne. È solo, frustrato, manipolatore. Nuota nel vuoto della sua esistenza. C’è sua moglie, annullata dal matrimonio, trasformata nel tempo in un accessorio non indispensabile. C’è il presunto amico di questa coppia, dalla scarsa abilità e personalità, che si ritrova a galoppare per il criminale. E c’è il fulcro di questa storia. Una ragazza cinese, comprata e portata in Italia dal trafficante, per un capriccio unito a necessità originali e malate.
Lei è Na. Infanzia negata, perché è nata femmina. Na, che pensa in cinese e parla italiano. Chi è in realtà? Non appartiene a nessuna terra, non ne ha bisogno perché basta a se stessa. Basta all’angoscia e alle violenze subite, alla forza del suo corpo esile …
La figlia maschio racconta l’amore distorto e la sopravvivenza. La necessità di mostrarsi forti ad ogni costo. Le umiliazioni e la cattiveria delle parole. I personaggi sono co-autori, si mettono in gioco cercando disperatamente di collocarsi nel cuore di qualcuno. Non vogliono più essere risucchiati da chi è più forte. Sfruttano, per non essere sfruttati. Cercano consolazione, non riuscendo a raggiungere l’amore. Si aggrappano al desiderio di un abbraccio, ma hanno paura di perdere il controllo di se stessi.
La figlia maschio, intenso, graffiante, feroce, appassionato. Patrizia Rinaldi crea le parole e le lascia nelle mani dei protagonisti, che le modellano e se ne appropriano. Una storia che scava nell’identità, nei sentimenti, nelle ombre soffocanti della privazione e della solitudine.
Editing perfetto. Ottima lettura, che vi consiglio.