Il nuovo appuntamento del forum di Letteratitudine intitolato “LETTERATURA E MUSICA" è dedicato alla segnalazione del nuovo romanzo della serie dell'Alligatore: “Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane” di Massimo Carlotto (Edizioni E/O). Un romanzo che - come si evince dal titolo - è fortemente legato al blues: musica molto amata da Marco Buratti (alias l'Alligatore) e dallo stesso Massimo Carlotto (che sarà prossimo ospite del programma radiofonico "Letteratitudine in Fm" per discutere di questo nuovo volume della saga).
Pubblichiamo le prime pagine del libro e segnaliamo la playlist Le signore del Blues amate dall'Alligatore (che "sancisce" il legame musicale di questo romanzo con interpretazioni e performance eseguite da, appunto, "signore del blues") e il tour di Carlotto che parte il 26 settembre.
prime pagine di “Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane” di Massimo Carlotto (Edizioni E/O)
UNO
L’informatore sembrava un ex poliziotto. La divisa do -
veva averla chiusa nell’armadio con la naftalina già da
qualche anno, eppure la piega dei pantaloni e la riga,
che divideva ordinatamente i radi capelli biondi, suggerivano
che fosse stato uno sbirro di basso rango. Non avevo a disposizione
altri elementi ma il fiuto e l’esperienza mi fornivano la
certezza necessaria. Sulla guancia destra aveva una piccola mac -
chia scura e spessa quanto una moneta da cinque centesimi. Il
fegato non era più quello di un tempo. E nemmeno il resto.
Quando parlava di soldi lo sguardo si illuminava. Piccoli lampi
che indicavano il bisogno di trasgredire alla routine di ri spar -
mio imposta dalla pensione.
Aveva detto di chiamarsi Hermann e a tratti si passava l’indice
sinistro sulle labbra, quasi volesse assicurarsi che fossero
pulite.
«È sicuro?» domandai, mostrandogli ancora una volta il
primo piano dell’uomo che stavamo cercando.
Fece un cenno deciso con la testa. Mi convinsi che diceva la
verità e gli allungai la busta con l’equivalente di mille euro in
franchi svizzeri. Non chiese che uso avremmo fatto dell’informazione.
La risposta poteva avere un effetto controproducente
sul desiderio di spendere quelle banconote. I rigurgiti di co -
scien za vanno sempre trattati con cautela.
E comunque avrei evitato accuratamente di dirgli la verità.
Ero pronto a raccontargli che dovevamo comunicare a quel
tizio la straordinaria notizia che era diventato milionario. Uno
zio emigrato in Brasile lo aveva nominato unico erede della sua
fortuna.
Nei locali e nel giro della mala bernese avevamo fatto circolare
la voce che cercavamo una persona. La foto, ricavata da
una leziosa rivista per gourmet danarosi, mostrava un quarantacinquenne
bello, affascinante, con uno sguardo disincantato
e malizioso da vincente che noi volevamo spegnere per sempre.
Per quanto possibile eravamo stati discreti. Berna è la città
più adatta a farsi notare se si ha intenzione di commettere un
omicidio. Alla fine la voce era arrivata alle orecchie del buon
Hermann, che a quanto pa reva conosceva l’indirizzo giusto.
Si era presentato in un locale vecchio quanto la proprietaria
e che avrebbe chiuso i battenti quando se ne sarebbe andata. La
clientela non era molto più giovane. A noi piaceva perché era
sospeso nel tempo, i bicchieri sapevano vagamente di sa pone di
Marsiglia e ogni sera, per tre ore buone, una coppia di irlandesi,
Mairéad e Killian, suonava la chitarra e cantava vec chi brani.
Folk, un po’ di jazz, qualche blues. Lei aveva una voce molto
bianca alla Bonnie Raitt. Il suo uomo, tra le note, teneva a bada
la rabbia antica delle contee del Nord. Il vero motivo che ci
teneva legati a quel posto era il loro amore. Stavano insieme da
tanti anni e sapevano ancora guardarsi negli occhi, ridere e
baciarsi. Invidiavamo quelle labbra che si cercavano. Non era -
no più giovani, i volti segnati da una vita trascorsa suonando
per locali, ma erano veri. Avevamo un tavolo tutto nostro, bicchieri
di calvados, grappa e vodka. Ascoltavamo in silenzio,
brin dando am mirati e persino commossi a quell’amore che avevamo
cercato, a volte trovato e poi irrimediabilmente perduto,
ma al quale i nostri cuori fuorilegge non erano ancora pronti a
rinunciare.
Hermann, l’informatore, mi passò il foglietto con l’indiriz -
zo. Era scritto a macchina, il martelletto della “s” era consuma -
to e il carattere si leggeva appena. Il nostro uomo abitava nel
quinto distretto, dalle parti dello stadio Spitalacker.
«Che altro può dirmi, Hermann?».
«Una villetta. Vive con una donna» rispose in un inglese
stentato.
A quelle parole gli ultimi dubbi che potevo ancora nutrire
svanirono. «L’ultima volta che li ha visti?».
«Lui l’altro giorno. Lei prima».
Tesi la mano. Hermann, imbarazzato, esitò prima di stringerla.
Era fredda, come quell’inverno arrivato all’improvviso.
Se ne andò con la testa incassata, evitando di guardarsi troppo
attorno. Precauzioni inutili. Nessuno si sa rebbe mai ricordato di
quell’ometto insignificante nel regno dell’amore dei due ir -
landesi.
Tornai alla mia sedia e al mio bicchiere. «Magari è proprio
Giorgio Pellegrini».
Il vecchio Rossini alzò le spalle. «Magari. Così ci togliamo il
pensiero».
Spostai lo sguardo. Max la Memoria stava controllando sul
tablet le ultime notizie.