L'impresa impossibile di raccontare per immagini il successo di un'autrice che si è ostinatamente sottratta all'imperativo dell'apparire. È la scommessa di Ferrante fever, il documentario (nei cinema il 2, 3, 4 ottobre e in esclusiva su Sky Arte HD) dedicato a Elena Ferrante e al fenomeno internazionale scatenato dalla quadrilogia dell'Amica geniale, un evento da 5 milioni di lettori, alimentato dalle polemiche e dalle illazioni sull'identità dell'autrice, esplose con la candidatura al Premio Strega nel 2015 (con Storia della bambina perduta) e da allora mai placate: «Stare nell'ombra - ha dichiarato Ferrante - è un'espressione che non mi piace, sa di complotto, di sicari. Ho preferito pubblicare libri senza dovermi sentire obbligata a fare di mestiere la scrittrice. E finora non me ne sono pentita». Così, sulle tracce di un personaggio senza volto, Ferrante feuer, diretto da Giacomo Durzi, che lo ha ideato con Laura Buffoni, mette insieme le tessere di un ideale mosaico. Prima New York e poi l'Italia. Prima Hillary Clinton che, in piena campagna presidenziale, confessa: «Una volta letto il primo dei 4 libri mi sono sentita completamente travolta, ho capito che non mi potevo trattenere, mi ci dovevo buttare, e infatti sto divorando gli altri». Poi la scrittrice e sceneggiatrice Francesca Marciano, che parla di «addiction pura» e sintetizza la sensazione comune a quelli che hanno completato la quadrilogia: «E ora come faccio?». La ricognizione comincia dalla strada newyorkese dove spicca, sopra l'ingresso di una libreria, la scritta luminosa «Ferran- te fever», e poi va avanti con la galleria delle interviste, dalla traduttrice Ann Goldstein («È stato amore a prima vista») alla scrittrice Elizabeth Strout, dall'autore Jonathan Franzen alla studiosa Zagrebelsky. La voce che accompagna il viaggio nell'identità misteriosa della protagonista è dell'attrice Anna Bonaiuto, impegnata a leggere passi della Frantumaglia (Edizioni E/O, 2003), una sorta di autoritratto letterario in cui sono raccolti le lettere e i pensieri che hanno segnato il percorso di Ferrante dal 1992. Gli scrittori Roberto Saviano e Nicola Lagioia analizzano la scelta del non mostrarsi, mentre i registi Mario Martone e Roberto Faenza descrivono l'esperienza di aver portato al cinema i romanzi dell'autrice, rispettivamente L'amore molesto e I giorni dell'abbandono. Bozzetti a matita con figure di donne che appaiono e svaniscono si alternano agli interventi degli intervistati, scorrono le copertine dei libri tradotti in tutte le lingue del mondo e, nel finale, appare Napoli, «Un purgatorio, la città irrisolvibile», come dice Martone, con i vicoli bui e il golfo dominato dal Vesuvio: «I libri- sostiene Ferrante -non hanno alcun bisogno degli autori una volta che sono stati scritti».