"Un po' l'ho sognato, un po' l'ho vissuto, ma che importa”. Inizia con questa bellissima affermazione, “L’incantesimo delle civette”, il primo romanzo di Amedeo La Mattina, giornalista siciliano, trapiantato a Roma da moltissimi anni, cronista politico prima per l’agenzia Ansa, oggi per il quotidiano La Stampa. È il racconto intenso, emozionante e delicato di come la vita di ciascuno di noi, in fondo, dipenda spesso da episodi, da eventi, a volte anche minimi; alcuni accadimenti ci cambiano, influenzando le nostre scelte, per sempre. Luca, il quattordicenne protagonista del romanzo oggi forse sarebbe un uomo diverso se nell’estate del 1967, nel suo piccolo e caldo paesino siciliano, Partinico, non fosse arrivata la troupe di Damiano Damiani, per girare il film “Il giorno della civetta", tratto dall’omonimo romanzo di Sciascia. Grazie a questo evento Luca cambierà per sempre la sua vita, scoprirà l’amore, quello per una donna adulta, Claudia Cardinale, capirà, benché tutti lo negassero, che a Partinico c’era la Mafia; scoprirà chi fra i suoi amici avrebbe dato la vita per lui, chi invece di fronte al pericolo avrebbe scelto di eclissarsi. Soprattutto comprenderà che fuori dal suo polveroso paese c’è un mondo che ha voglia di andare a scoprire. Prima di quell’invasione di luci colori e suoni, la sua vita era quella di un adolescente che amava poco la scuola, che giocava a calcio e che dava brio alla sua esistenza solo attraverso una lotta continua, anche cruenta, finalizzata alla difesa di uno scalcinato campo di calcio, conteso da una banda rivale di ragazzini. Luca e si suoi amici sono i figli dei professionisti del posto, sono “i signiurini”; i rivali, capeggiati da Maciste, sono i ragazzi del popolo. In un’estate come le altre, la troupe di Damiani rompe un equilibrio, secolare quasi; il paese cambia in virtù dell’ondata di modernità portata lì dai maestranti del cinema che vengono dalla capitale. Tutto il paese ne rimarrà coinvolto; ci sarà chi offrirà la propria casa, chi lavorerà come comparsa, e chi rimarrà affascinato dai divi, protagonisti del film, Franco Nero, conosciuto da tutti per il ruolo di Django, ma soprattutto la bellissima Claudia Cardinale, reduce dal successo del Gattopardo. L’attrice è ospite nel palazzo di un suo amico, e Luca è al settimo cielo perché ha l’opportunità e il privilegio di poterlo frequentare. Conoscerà l’attrice, che mostrerà simpatia per lui, lo appellerà “occhi belli” e lui se ne innamorerà perdutamente, come solo a quattordici anni è possibile fare, con quella intensità e assurdità anche, di pensare di poter colpire il cuore di una donna così tanto più adulta di lui. Il film per Partinico sarà un vero toccasana, gli affari dei commercianti andranno a gonfie vele, il paese muterà le sue abitudini e i suoi costumi. Tutto sembrava dare nuova vita a quel luogo, fino a quando la mafia, che fin lì era rimasta anch’essa affascinata da cotanto movimento, scoprirà qual era il vero tema del film, e a quel punto cercherà di bloccarne la realizzazione, impedendone, di fatto, la fine delle riprese; “che lo finiscano pure, ma non qui a Partinico. Che il loro film se lo andassero a fare da qualche altra parte!” C’è un piano per far saltare il film, ed è quello di rapire Franco Nero. Luca lo scoprirà, e temerariamente cercherà di impedirlo, in realtà a lui di Franco Nero importa poco, gli è pure antipatico, a muoverlo è la paura di non vedere più la Cardinale; se il film non si farà, loro partiranno, andranno via, lasciando Partinico ancora più sola e vuota di quanto fosse prima del loro arrivo. È una storia tutta vera? O c’è dell’invenzione? Non lo sapremo mai, quel che è certo, è che le pulsioni erotiche adolescenziali raccontare da La Mattina sono assai credibili, così com’è verosimile che un ragazzino di quattordici anni possa avere l’impulso di sfidare, anche pericolosamente, degli adulti, spinto dall’amore e dalla voglia di non far morire un sogno che gli sta rendendo la vita assai più degna di essere vissuta. La Mattina ci racconta il suo Luca a cinquant’anni quasi di distanza, il suo è un misto di ricordi, immaginiamo reali, e di finzione. Di certo, quell’estate, per Luca, rappresentò il salto, la crescita, la voglia di scoprire cosa c’era oltre Partinico, oltre la Sicilia. Le civette operarono su di lui un incantesimo, gli aprirono gli occhi e la mente. È un romanzo seppur breve, ricco. C’è il racconto della storia d’amore, tenera e forte, dell’amicizia che va oltre l’appartenenza sociale, della scoperta, attraverso la lettura del libro di Sciascia, che la Mafia esisteva eccome, e andava combattuta con coraggio, senza soste, anche a costo di rimetterci la vita, com’è accaduto a molti, troppi. Anche lo stile di scrittura è meritevole; belle le immagini e i personaggi, molto azzeccato l’utilizzo del dialetto, e poi questo racconto dell’Italia provinciale, per me che vengo dalla provincia, è un’emozione in più, perché l’amore per la propria terra, anche quando la si è lasciata, rimane immutato, anzi, con gli anni, la nostalgia ci vela lo sguardo e ci fa vedere il bello più che il brutto, e il motivo per cui siamo andati via diventa solo un lontano e confuso ricordo. Luca, dalle sue scoperte, ne uscirà provato anche nel corpo; si trasformerà in un ometto, e non in un quaquaraquà; sarà, dopo questa esperienza, un giovane ormai pronto a conoscere il mondo e ad impegnarsi, nel suo piccolo, a renderlo migliore. Luigina Dinnella