La morte di un poliziotto è sempre sconvolgente per i colleghi: non si impara a convivere con la morte, soprattutto quando sai che è con te in pattuglia, potrebbe essere dietro l’angolo ad ogni chiamata. Se poi il poliziotto si è tolto la vita è anche peggio, ognuno sa che potrebbe capitare anche a lui di cedere alla lusinga dell’oblio e troppe sono le domande che resteranno senza risposta. Il commissario Strega però non è uomo che possa convivere con i punti di domanda e l’unico modo che ha per sopportare l’isolamento (non quello personale di cui poco gli importa, ma quello professionale a cui l’hanno costretto relegandolo in ufficio dopo un “incidente” in cui Jacopo Di Giulio, il suo partner, è morto per un colpo partito dalla pistola di Strega), è che lo lascino tornare a indagare. Palamara, forse l’unico che sta dalla sua parte, lo coinvolge nell’indagine sulla morte di Larocca. Le evidenze scientifiche dimostrerebbero il suicidio, ma un bravo investigatore sa quando qualcosa non torna. E qualcosa “sulla scena del crimine”, non quadra neanche a Strega, che incurante delle pressioni della Digos perché il caso venga archiviato procede scavando nella vita e nel lavoro del collega, fino ad arrivare alla conclusione che sì, Roberto Larocca si è sparato ma certamente non di sua sponte…
Di padroneggiare la lingua Piergiorgio Pulixi lo ha dimostrato più che ampiamente sia con i cinque romanzi della serie di Mazzeo , sia con i racconti – più che notevole l’ultima raccolta, L’ira di Venere, di storie declinate magistralmente al femminile – ma questo autore poco più che trentenne con il secondo romanzo che vede protagonista il commissario Vito Strega ha dimostrato che sta continuando a crescere anche nel ruolo di costruttore di storie. Il personaggio è affascinante senza essere artefatto. La solitudine post divorzio vissuta senza piagnistei, ‒ una gatta semiselvatica e una tredicenne con cui ha stretto un patto segreto: lui la lascia fumare sul suo terrazzo e lei si impegna a leggere i libri che lui le consiglia sono la sua compagnia, se vogliamo escludere la quantità di cd e libri che hanno ormai invaso la casa. Bello ma non vanesio, fisicamente imponente ma non violento, tre lauree e un intuito che ne fa un poliziotto con una marcia in più. I lettori più attenti riusciranno a cogliere le due anime di questo romanzo: quella gialla (l’indagine non ha la benché minima sbavatura) e quella noir, in cui Pulixi indaga senza pietà l’anima dei protagonisti. La scrittura è pulita, essenziale senza mai essere scarna. Particolarmente curati i dialoghi che, modulati come su una scala musicale, identificano esattamente gli stati d’animo e le situazioni. L’augurio è che i programmati 13 volumi che comporranno I canti del male (il primo è stato Il canto degli innocenti) vedano la luce completando l’escalation che si inizia in questo.