«Nessuna persona in carne e ossa corrisponderà mai all'immagine che un lettore ha nella sua mente. Questo è perché la parola scritta, naturalmente, definisce, ma lascia anche molto all'immaginazione. Vedere, invece, restringe questi margini e lascia fuori qualcosa che le parole da sole ispirerebbero». Così la misteriosa scrittrice Elena Ferrante parlava, a marzo (al New York times), delle difficoltà di trovare attrici e attori giusti per portare sullo schermo la sua tetralogia napoletana L'amica geniale. Coerentemente: lei stessa non si mostra in pubblico se non attraverso le sue opere e rifiuta di svelare chi ci sia dietro la sua firma, uno pseudonimo. Ma sullo schermo, grande e piccolo, c'è una corsa a rappresentare le sue opere e a parlare di lei. I cinque milioni di copie vendute in 50 paesi promettono un effetto tipo Trono di spade e dalla casa editrice e/o, che li pubblica in Italia, raccontano di avere ricevuto decine di richieste di diritti cinematografici negli ultimi anni, da ogni parte del mondo. Tutte respinte: ad aggiudicarsene l'esclusiva è stata la casa di produzione Fandango, «già quattro anni fa, quando ancora non si sapeva se al primo romanzo, L'amica geniale, sarebbero seguiti tre, o due, o quattro volumi», racconta il responsabile dei diritti cinematografici di e/o Maurizio Dell'Orso.
Il casting a cui si riferiva Ferrante sul New York Times, finito quest'estate, era quello per la molto attesa, e finora avvolta dal segreto, serie tv prodotta proprio da Fandango insieme al colosso americano Hbo, alla Rai e a Wildside. Se ne sa pochissimo: solo che alle prime otto puntate, tratte dal primo volume, dovrebbero seguirne altre otto per ciascun libro della tetralogia; che il regista è Saverio Costanzo e gli sceneggiatori sono Francesco Piccolo e Laura Paolucci.
Ma al cinema arriva, dal 2 al 4 ottobre prossimi, anche il documentario italiano Ferrante Fever, in cui il regista Giacomo Durzi racconta la storia del boom editoriale di Ferrante: le star in scena sono quasi tutte letterarie, da Roberto Saviano a Jonathan Franzen, a Elizabeth Strout, Nicola Lagioia, Francesca Marciano. E tutti insieme cercano di capire, racconta Durzi «come è nato un romanzo che accomuna lettori di Napoli e dell'Arkansas, come si crea un successo così ampio».
Alla stessa domanda - su chi si celi dietro il nome di Ferrante, diventata ormai quasi il soggetto di una spy story - e non a quella è dedicato, domenica 17 settembre a Milano, l'incontro con Giacomo Durzi a Fuoricinema, il festival cinematografico all'aperto prodotto dal Corriere della Sera. «L'epicentro del successo planetario di Elena Ferrante», racconta il regista, «è stata New York, dove gran parte del documentario è ambientata. Molti pensano che la fama dell'autrice si debba al suo anonimato. Ma non è stato così: in Italia Ferrante era già celebre, ma ben meno di oggi, e negli Stati Uniti gli scrittori europei sono anonimi un po' per definizione. Lei non avrebbe certo fatto notizia per un nom de plume».
Il propulsore del successo di Ferrante, dunque, «è stato un insieme di vari fattori: la casa editrice Europa Editions, costola americana del coraggioso editore italiano e/o; Ann Goldstein, straordinaria traduttrice, le librerie indipendenti che hanno ospitato eventi e letture dedicati a Lila e Lenù, le protagoniste della saga. Ho cercato, nel film, di dare voce a tutti loro». Oltre che a fan illustri, come Saviano e Franzen.
«Qualche voce è manta: avrei voluto più scrittori italiani, ma ho notato con sgomento che nessuno, nemmeno tra i "grandi" dal nome già consolidato, ha voluto parlarne, nel bene o nel male. E poi avrei voluto, certo, la voce dell'autrice: mi sarebbe piaciuto includerla, anche solo con una sua email, nel film, ma lei si è limitata a guardarlo, già montato, e farmi sapere che lo trovava "assai bello"».
«Assai bello» è la stessa frase che Ferrante nel 1995 aveva scritto al regista Mario Martone per la trasposizione cinematografica del suo romanzo L'amore molesto: con Anna Bonaiuto e Licia Maglietta, il film era piaciuto molto all'autrice, che aveva mandato al regista, in fase di riprese, alcune annotazioni sulla sceneggiatura. Lo stesso era avvenuto per I giorni dell'abbanono, nel 2005: dietro la cinepresa c'era Roberto Faenza e dalla scrittrice gli era pervenuta, sempre per via epistolare, giusto qualche osservazione.
Ora tocca ai quattro volumi della saga napoletana di Lila e Lenuccia: Ferrante, spiega la sua editrice Sandra Ozzola Ferri, «interviene di più. Non scrive la sceneggiatura, ma osserva da vicino quello che viene fatto e esterna le sue osservazioni direttamente al regista Saverio Costanzo, con cui ha un rapporto molto buono». Costanzo, curiosamente, aveva già proposto alla scrittrice di girare «una versione horror di quello che resta l'unico, ormai, fra i suoi libri, a non avere una versione cinematografica: La figlia oscura, del 2006. Ma non se ne fece nulla», racconta Ferri. Forse basta aspettare: lo tsunami Ferrante, al cinema, sembra appena esploso.