Negli ultimi tempi mi sono trovato a leggere tre romanzi di scrittrici molto brave e, casualmente, (commento banale, residuo di maschilismo novecentesco) anche molto belle: Carmen Pellegrino, Lorenza Pieri e Zadie Smith.
I libri sono usciti da tempo, ma io come lettore sono piuttosto disordinato e seguo sempre dei percorsi tutti miei.
Oltre a essere di autrici donne, questi romanzi hanno numerose affinità: si parla abbandono, di ferite profonde, di fragilità e di impegno politico.
La resa finale però non è la stessa e di fronte alla disarmante spontaneità di Lorenza e Carmen, troviamo lo stizzoso snobismo di Zadie.
Si parla di donne dunque, ma non solo, c’è tutta un’umanità in queste pagine, un sottobosco di rapporti spezzati, di rimpianti, di parole non dette o dette male, poi le cadute, il riscatto (a volte).
In “Se mi tornassi questa sera accanto” (Giunti) c’è un padre che affida al fiume messaggi nella bottiglia per la figlia fuggita chissà dove e assistiamo a questo strano rovesciamento in cui la ragazza è un fantasma negli anni di vita vissuta all’interno della famiglia, per poi diventare “reale”, centrale nei pensieri del padre, una volta che se ne è andata.
Si riscatta così dalla condizione di soldato di un esercito inesistente al soldo del sogno dell’unico uomo di casa, un’utopia che è parabola politica di questo Paese, non per emanciparsi, ma semplicemente per diventare umana.
Di politica ce n’è tanta anche in “Isole minori” (Edizioni e/o) di quella politica che entra nella case, scuote gli animi, divide famiglie, sigla e rompe amicizie, ma che è soprattutto “vita” e non fumo che esce dalle ciminiere parlamentari.
Anche qui c’è la disillusione, le strane curve che il destino ci obbliga a percorrere una volta che abbiamo fatto una scelta e ci sono persone sconfitte, ma mai vinte.
E’ una questione reale e tocca la vita di tutti, quello scarto tra ciò che sogniamo e ciò che effettivamente vediamo realizzato ed è qui che notiamo la grande differenza tra le tre autrici.
Zadie è indubbiamente una delle più importanti scrittrici di questo scorcio di secolo, lo è come figura, un riuscito mix di multiculturalismo e glamour che ha avuto una grande forza nella prima parte degli anni duemila, ma come lettore devo dire che mi ha sempre lasciato freddo.
Ho ripreso in mano “Denti bianchi” per darci un’occhiata, ma come ai tempi dell’uscita, nonostante le molte pagine felici, non mi trasmette nulla.
In “Swing time” troviamo una Zadie più dimessa, una storia semplice, amicizie tradite e famiglie che lasciano segni come fossero ferri roventi, ma non si rinuncia al glamour con una figura di star che pare un surrogato di Madonna talmente scontata da essere vera e una protagonista che annaspa nella vita come più o meno tutti, ma con cui non si riesce a empatizzare.
Non si scappa dunque dalla sensazione di una sorta di virologa che guarda la realtà con il microscopio e che sul vetrino ogni volta mette un elemento o un microbo a suo piacimento per vedere la reazione senza alcuna partecipazione emotiva.
Carmen e Lorenza sono un’altra cosa, è chiaro. I loro personaggi, sono veri, li puoi vedere, sai che in qualche momento della tua vita hai incontrato persone così, con quel viso, quel carattere.
I loro romanzi non divagano, non ti mollano mai perché non devono dimostrare alcuna teoria; sono un continuo perdersi nella sensazione conosciuta da tutti del legare e dello slegare le corde dei sentimenti verso le persone che incontriamo nel nostro cammino di vita.
Eppure sono così diverse le nostre ragazze, anche se si sporcano le mani con una certa retorica (e va bene, che ci siamo pure rotti di tutto questo cinismo…) anche se nascono provinciali, una al mare e una in montagna (ma attenzione: niente “località alla moda”, la pur bellissima Isola del Giglio e gli Appennini, affascinanti, ma pur sempre i cugini poveri delle gloriose Alpi, opposti ai quartieri multiculturali londinesi di Zadie) ma hanno ognuna uno sguardo differente sul mondo, sarà perché Carmen è un’abbandonologa e va ai funerali degli sconosciuti, mentre Lorenza gira il mondo e si perde nel parcheggio del Pentagono e comunque la loro grande capacità di leggere l’animo delle persone è la stessa.
E poi c’è tanta acqua, il mare in un caso, il fiume nell’altro e l’acqua ci porta alla figura della madre, centrale in tutti e tre i romanzi; una combattiva e arrabbiata, una persa per sempre in una nebbia di dolore e falsi ricordi e una impegnata in politica, per tutte la stessa fragilità, la stessa lotta per trovare spazio in un mondo che non le vede, o che quando le vede, le vede per ciò che non sono.