"Negli ultimi tempi e in tutti gli aspetti dell’esistenza, i legami geografici stanno diventando gabbie; mi pare sia venuta l'ora di recuperare anche uno sguardo apolide", racconta Patrizia Rinaldi intervistata da ilLibraio.it. L'autrice partenopea, in libreria con "La figlia maschio", parla tra le altre cose del rapporto con la sua città e riflette sulla condizione delle donne oggi e sulla sua esperienza come scrittrice (sia per adulti, sia per ragazzi), che vede come "una possibilità sorprendente arrivata in orario di chiusura".
Patrizia Rinaldi torna in libreria con La figlia maschio (Edizioni e/o), una storia che parte dalla Cina e indaga il tema l’identità: quella imposta alla nascita e quella che ci costruiamo da soli.La scrittrice partenopea, vincitrice del Premio Andersen come miglior autrice nel 2016, oltre ai romanzi per adulti, editi da e/o, ha scritto anche numerose opere per bambini e ragazzi, pubblicate da Sinnos. Tra queste, la graphic novel La compagnia dei soli, realizzata con Marco Paci e vincitrice del Premio Andersen 2017 come migliore opera a fumetti.
ilLibraio.it l’ha intervistata per parlare del suo nuovo romanzo, dell’interesse per il sociale, di letteratura per ragazzi e di Napoli.
Patrizia Rinaldi, perché ha scelto proprio la Cina per il suo nuovo romanzo?
“La Cina ha un fascino ingovernabile, che si dimena tra uno e molteplice. La ricchezza delle differenze culturali, sociali, delle storie dei linguaggi e di aspetti geografici tanto vari ha incontrato la volontà unificatrice del totalitarismo e del nazionalismo. La regola del figlio unico mi pare incarnare questo voler piegare il molteplice all’uno. Nel romanzo la Cina è l’incomprensibile, quello che la conoscenza, per quanto si adoperi, non riesce a dominare. Rappresenta la rivoluzione comportamentale, la frattura rispetto a valutazioni solite, consolidate da sé stessi, dalle abitudini relazionali e dalle altre circostanze esistenziali”.
Ne La figlia maschio i personaggi femminili sono quelli che vivono più difficoltà: le donne sono le vittime della società?
“In Cina l’aborto selettivo, la mancata denuncia all’anagrafe delle neonate e l’infanticidio sono stati la risposta violenta di nuclei familiari che, se dovevano avere un unico figlio, lo volevano maschio. La popolazione maschile è quindi aumentata a dismisura, sono mancate all’appello di un conteggio statistico milioni e milioni di bambine. La Figlia Maschio, Na, è una delle vittime della legge cinese sul figlio unico e di una famiglia che lei non ha potuto scegliere e che non la vuole. La sua assenza di identità è una condanna imposta dal controllo sociale delle nascite, ma la donna resisterà, con modi leciti e illeciti. Da preda diventerà predatrice”.
L’altra donna nel romanzo, invece?
“L’altra protagonista, Felicita, ha tutt’altra storia: ha scelto di piegarsi al marito e alla sua volontà di annientamento, che passa anche attraverso un matrimonio bianco. La perdita di identità delle due donne procede su strade diverse. Na rifiuta la cattività, Felicita è complice della sua e cercherà di ricostruirsi, di crearsi un destino diverso”.
Nell’ambiente letterario, invece, è più difficile farsi strada se si è un’autrice?
“Sono arrivata alla realizzazione professionale tardi, in un’età in cui è difficile in Italia trovare lavoro anche in un call center. Ho cominciato a pubblicare con continuità grazie a dei concorsi letterari. Il Premio Andersen 2016 mi ha laureata autrice, per questo non ringrazierò mai abbastanza la giuria. Continuo a vivere il mestiere che ho sempre voluto fare come una possibilità sorprendente arrivata in orario di chiusura.
Per quanto riguarda le donne e la contemporaneità: l’attuale Presidente della Camera è attaccata quotidianamente da insulti sessisti; è stato persino scritto che le donne soffrono solo all’inizio dello stupro e poi si abituano; solo nel 2017 ogni due giorni una donna è stata uccisa dal compagno. Potrei purtroppo continuare. Non vedo perché nel lavoro, in tutti i lavori, la donna dovrebbe trovare vivai illuministi”.
Oltre a romanzi per adulti si occupa anche di opere per i più giovani. Come concilia questi due diversi ambiti?
“Cercare contesti narrativi e interlocutori diversi per età e gusto mi aiuta a imparare. Mi stanno a cuore i linguaggi: mi interessa cercare un dire differente, abbandonarmi alle epifanie mutevoli delle parole. Pubblico con continuità relativamente da pochi anni, dal 2007, ma ho scelto la varietà. La sfida è mantenere lo stesso stile, somigliarsi, mentre si cambiano interlocutori e generi. E poi i ragazzi mi impediscono di dimenticare il rispetto per il lettore…”.
In che senso?
“Hanno anarchie e curiosità, sono critici secondo regole private, non seguono canoni imposti. Quando scrivo per loro sento la responsabilità della speranza, non certo quella melensa e irreale. La speranza che dico somiglia più a un esercizio di sopravvivenza che educa innanzi tutto me. Le mie parti in contrasto, dalla speranza, appunto, alla sua smentita dei conati irrisolti, mi spingono a cercare storie differenti. Mi fa sentire autentica raccontare frammenti che possono apparire inconciliabili”.
L’impegno sociale la contraddistingue: perché è importante portare la letteratura anche nei luoghi più dimenticati, come le carceri?
“Da quasi dieci anni partecipo a progetti di scrittura e di lettura con ragazzi detenuti nell’Istituto Penale Minorile di Nisida; è una delle esperienze più fondanti per me, non solo per il mio lavoro. Continuo a credere che la cura delle parole e dell’immaginario, l’ironia e le letterature possano offrire un’arma lecita contro la disperazione”.
Napoli è spesso presente nelle sue opere: quanto la influenza la sua città natale?
“Provo appartenenza per la mia terra. La serie noir di Blanca, tre romanzi pubblicati da e/o, è ambientata a Napoli, soprattutto nella zona dei Campi Flegrei. Spero di raggiungere una narrazione non omologata, priva di intenzioni solo distruttive o celebrative. Mi fa piacere raccontare tante città in una, dire dei contrasti di Napoli.
Amo la mia città; non sono mai andata via, nonostante ne abbia avuto l’opportunità. Vivo sopra i crateri ed è qui che ho bisogno di tornare, sebbene mi renda conto di quanto lavoro ci sia da fare in questo luogo dalla socialità complessa. Napoli porta con sé un patrimonio culturale quasi ingombrante. Sugli artisti contemporanei gravano tradizioni di bellezza immensa e relativo peso di suggestioni teatrali, pittoriche, filosofiche, architettoniche, musicali, letterarie… Sento anche l’esigenza di tradire Napoli, per non ricadere nella stessa narrazione. Così alcuni miei romanzi, tra cui La Figlia Maschio, sono ambientati altrove. Ma poi torno. Mi allontano, ma poi torno a questa mia città, al suono della frase, alla formazione letteraria, alla terra campana che sento profondamente mia”.
Ultimamente sono numerosi i romanzi ambientati nella capitale partenopea. Quali di questi ha letto e apprezzato?
“Napoli, anzi la Campania, sta vivendo un periodo letterario felice. I libri che ho apprezzato sono tanti: per nominarli tutti, farei una lista troppo lunga. Preferisco invitare i lettori di altre parti di Italia a non fermarsi solo sul dato di appartenenza regionale. Forse la buona letteratura dà il particolare per poi superarlo. E poi, negli ultimi tempi e in tutti gli aspetti dell’esistenza, i legami geografici stanno diventando gabbie; mi pare sia venuta l’ora di recuperare anche uno sguardo apolide”.