Come nasce la tua predilezione per il noir e il poliziesco?
Deriva un po’ dalle letture che amo fare e che mi hanno colpito da bambino. Credo che abbia influito molto, nella scelta di dedicarmi al genere, un fumetto che era Dylan Dog, che leggevo da piccolissimo, prendendolo di nascosto dai miei cugini più grandi. Ha contribuito a creare questo immaginario un po’ dark, un po’ oscuro. Poi Dylan Dog è un fumetto molto citazionista, mi ha aperto la strada ad altre tendenze e mi ha indirizzato verso il genere. Da quel genere vengo, più che altro, come lettore e negli anni ho sviluppato maggiore interesse verso la cronaca, quindi nel rapporto tra poliziesco e realtà. Mi interessavo di cronaca nera, dei grandi casi etc., quindi mi è rimasta quell’impostazione.
Mi ricollego al tuo discorso per parlare del tuo nuovo romanzo, La scelta del buio, che vede ancora una volta protagonista, dopo Il canto degli innocenti, il commissario Vito Strega, impegnato nella complessa indagine riguardante il suicidio di un collega. Tu hai dichiarato spesso di attingere ai fatti di cronaca per la creazione delle tue storie. Qual è il tuo rapporto con la cronaca nera? Cosa pensi del modo in cui i media trattano le vicende?
Il tema del suicidio tra gli esponenti delle forze di polizia è reale, quindi anche i dati che vado a citare sono reali. Per essere brevissimo, il tasso di suicidio all’interno delle forze di polizia è praticamente il doppio rispetto a quello della popolazione civile; quindi è una media di 10-12 morti l’anno, e son tanti. Per quanto riguarda il mio rapporto con la cronaca, moltissime delle mie fonti sono legate a giornalisti di nera, per esempio ho dedicato un libro, L’appuntamento, a una giornalista di “Repubblica” che si chiama Federica Angeli e che vive sotto scorta.
Il rapporto coi media è costante, però mi rendo conto che, spesso, alcuni giornali, naturalmente non tutti, tendono a cavalcare il sensazionalismo, giocando molto sulla creazione del caso sanguinolento, soprattutto d’estate; però questo è un aspetto mediatico su cui interviene molto la tv con i programmi di approfondimento, quindi lo vedo negativamente quando va a mettere troppa pressione sugli organi inquirenti, che alle volte sbagliano proprio perché hanno troppa pressione sulle spalle, quella dei media.
Vorrei parlare ora di Massimo Carlotto, tuo maestro, verso il quale hai sempre manifestato ammirazione e riconoscenza e che, se vogliamo, ti ha introdotto nella dimensione della scrittura. C’è un suo lavoro che più degli altri ti ha colpito o ispirato?
Ce ne sono due. Uno è un libro che mi capita di rileggere spesso, anche perché è breve, e si chiama Arrivederci amore, ciao, che in Italia è stato una sorta di spartiacque tra quello che era il noir prima e quello che è stato il noir dopo. Ha prodotto un cambiamento paradigmatico, la prospettiva del noir è entrata interamente in un’ottica criminale, con un personaggio criminale, totalmente amorale, totalmente cinico, che si raccontava in prima persona. Per come eravamo abituati noi in Italia, non c’era mai stata prima di allora una virata così brusca nel genere. Però, quello che io ritengo il suo lavoro migliore, quello che a livello estetico e strutturale mi sembra più importante – e son sicuro che i nostri figli e i nostri nipoti un giorno studieranno su quello – è L’oscura immensità della morte, che è un po’ una sorta di Delitto e castigo italiano, rivisitato in chiave metropolitana e che soprattutto pone nel lettore delle questioni morali molto forti. È difficile prendere una posizione rispetto alla storia. Io l’ho studiato, l’ho analizzato con Massimo e ne abbiamo parlato spesso. So che adesso Massimo Carlotto sta scrivendo qualcosa che andrà a completare quel discorso iniziato con L’oscura immensità della morte.
Parliamo delle tue creature, Biagio Mazzeo e Vito Strega. Due poliziotti agli antipodi: corrotto e spregiudicato Mazzeo, empatico e devoto al lavoro in maniera logorante Strega. Tra i due, a chi sei più affezionato?
A Biagio Mazzeo son legato perché mi è costato fatica calarmi nella sua psicologia. È stato comunque uno sforzo intenso perché ho pubblicato quattro libri in quattro anni, però sono stati circa sette gli anni che ho trascorso con lui (la tetralogia sull’ispettore Biagio Mazzeo è stata pubblicata per e/o Edizioni dal 2012 al 2016, con l’uscita di un libro l’anno, ma la gestazione del primo libro, Una brutta storia, è durata circa tre anni n.d.r.). I tre anni mi sono serviti a creare proprio l’universo di Una brutta storia e la costellazione di tutti i personaggi, ma una volta creati loro, è andato tutto più veloce.
Vito Strega è più vicino a me, nonostante sia diverso per tantissime cose, però sicuramente la sua formazione è più simile alla mia, quindi mi è più semplice immedesimarmi, ed anche il genere è un po’ più “semplice”, perché più che noir sono dei thriller polizieschi. Lui lavora su un caso, ci lavora, come hai detto tu, in maniera logorante e quasi ossessiva, però la storia in qualche modo si esaurisce lì, tant’è che tutti i romanzi di quella serie saranno indipendenti l’uno dall’altro. Quindi anche lo sforzo fisico e mentale che mi richiede scriverli è sicuramente meno ingente rispetto a quello che mi ha richiesto Mazzeo, che è stato davvero una discesa negli inferi. Qua si tratta di vedere e contemplare il buio, però partendo sempre da una posizione più luminosa rispetto a quella di Mazzeo.
Restando in argomento, La scelta del buio è il secondo capitolo della serie I canti del male, che ne prevede in tutto tredici. Sai già come proseguiranno le vicende di Vito Strega e quale sarà il loro epilogo? Oppure lo scopri di volta in volta, man mano che scrivi un nuovo capitolo?
Conosco più o meno due cose. Una è il trattamento delle diverse tematiche, in modo particolare dei temi che ogni romanzo toccherà, perciò quelli li conosco più o meno quasi tutti. So anche, pressappoco, quale sarà l’evoluzione e l’arco di trasformazione del personaggio e quali sono le tappe che lui toccherà nella sua carriera di investigatore. Ciò che non so sono i singoli casi, perché, riallacciandoci alla tua domanda di prima sulla cronaca, io parto quasi sempre da casi di cronaca, quindi li scopro man mano, proprio perché inseguo la cronaca. Voglio una narrazione che sia aderente alla realtà, aderente ai tempi. Se dovessi, già da ora, buttare giù le trame da qui a tredici anni, arriverei tra tredici anni con trame già vecchie, che magari sono scollate rispetto alla realtà. Quindi so quali sono le tematiche, però i singoli casi di cronaca li scoprirò via via.
Hai vinto numerosi premi letterari e sei sicuramente uno degli scrittori noir più apprezzati della tua generazione. A parte i riconoscimenti, che sono sempre gratificanti, ti sei prefissato qualche particolare traguardo come scrittore?
È una bellissima domanda, questa. Ti dico la verità, no. Questa è un’impostazione mia, magari sbaglio ma, più che sul traguardo o l’obiettivo, mi concentro sul processo, lavoro di più sul singolo scritto e, una volta che l’ho terminato, resetto tutto e riparto da zero, proprio come se stessi riiniziando, perché solo così riesco a migliorarmi e a dare il massimo. Se invece penso ai passi che ho già fatto, perdo un po’ di vista il focus sulla trama e sul personaggio. Diciamo che mi godo il viaggio, per ora sto facendo questo viaggio, lavorando step by step.
A cosa ti dedicherai, una volta terminato il tuo tour letterario promozionale fittissimo di tappe?
Mi dedicherò all’editing di un romanzo per ragazzi che uscirà l’anno prossimo e che porteremo anche alla Fiera di Francoforte a ottobre, poi mi concentrerò sul terzo capitolo di Vito Strega e vorrei andare avanti anche con Carla Rame (funzionario di polizia già apparso nella raccolta di racconti L’ira di Venere, pubblicato quest’anno da Pulixi per l’editore CentoAutori n.d.r.). Lavoro a più progetti contemporaneamente.
Grazie per la tua gentilezza.
Grazie a te.