“L’Italiano” che dà il titolo a questo bel romanzo di autore tunisino, tradotto dall’arabo da Barbara Teresi (e che nel 2015 si è visto assegnare il Premio internazionale per la narrativa araba), è un giovane né italiano né emigrato nel nostro Paese. Il suo soprannome è dovuto al fascinoso aspetto fisico che, a detta della sua cerchia di amici e conoscenti, è molto… latino. E in effetti le donne non restano insensibili alla sua presenza. Anche Zeina, che sarà per un paio d’anni sua moglie, è una bellezza berbera fuori del comune. Ma il libro non è certo un romanzo rosa (anche se non fanno difetto le pagine dedicate a queste vicende, fino a scene quasi hard). Riprende anzi un tratto di storia tunisina, quella dell’ultimo decennio circa di Bourghiba al potere e dell’avvento di Ben Ali, tenendo sempre assieme la dimensione privata e quella pubblica – sociale e politica. Una sorta di “meglio gioventù” maghrebina, preparata, brillante, combattiva, ma anche confusa e che finisce, di fatto, per essere irrilevante nel corso degli eventi.
Perché Abdel Nasser, “l’Italiano”, classe 1960, è un leader studentesco carismatico, di convincimenti marxisti ma refrattario alla «violenza rivoluzionaria» sostenuta da altri (come il più anziano e tenebroso avvocato). Zeina, da parte sua, vorace e intelligente lettrice fin da bambina, ha una cultura e una personalità non comuni, è «una dei pochi in grado di criticare gli studenti islamisti della Tendenza islamica, con i quali discuteva delle questioni relative al loro campo d’elezione, ovvero l’identità islamica».
Da correttore di bozze, Abdel Nasser diverrà giornalista e, paradossalmente, in un quotidiano filogovernativo, ma senza piegarsi ai compromessi. Zeina scomparirà dalla scena del suo Paese, e in un modo che non ci saremmo aspettati. Ma attorno a loro e tra di loro c’è tutto un universo – familiare, studentesco, sociale, politico – con molti personaggi e anche molti passaggi di sapore esplicativo (sull’evoluzione del Paese), ma che riescono a non essere pedanti, poiché usciti dalla bocca dei protagonisti o da quella dell’io narrante, un anonimo e discreto amico di Zeina come pure dell’Italiano. È la figura che forse finiamo per amare di più. Perché gli eroi del romanzo non sono eroi… a tempo pieno. Il lettore ora vi si affezionerà, ora farà un passo indietro, sconcertato da certe scelte che possono essere viste come contraddittorie.
Ma perché fermarsi al 1990 e non venire all’oggi, alla Rivoluzione dei Gelsomini? L’autore – che è rettore di università nonché direttore della Fiera del Libro di Tunisi e molto altro ancora, e anch’egli attivo, in gioventù, nel movimento studentesco, affine forse più a Zeina che ad “Abdo” – sostiene che per comprendere la “primavera” del 2011 occorre saper guardare indietro, specialmente al periodo in cui L’Italiano è ambientato, perché, dice, «la storia della Tunisia ha avuto un’evoluzione a spirale, senza rotture».
Oggi, ripensando al passato, al-Mabkhout sottolinea, nelle interviste che rilascia, l’importanza «filosofica» del corpo (che infatti nel suo romanzo, censurato in alcuni Paesi arabi, emerge con prepotenza). Nel senso che «Bourghiba ha, sì, fatto saltare la struttura sociale arcaica spazzando via il concetto di tribalismo e instaurando quello di famiglia» (il Codice della Famiglia, lo ricordiamo, precedette addirittura l’adozione della Costituzione della Tunisia indipendente), ma poi «nemmeno la sinistra ha capito che la sfida è l’individuo e la libertà individuale» (e tanto meno le forze islamiste). «Si può forse fare la rivoluzione, cambiare la società, con individui che non sono liberi?». E la domanda, secondo l’autore, rimane valida, a dispetto del sostanziale buon esito, anche per la Rivoluzione dei Gelsomini…