Ciao Pasquale e benvenuto nuovamente sulle pagine del nostro magazine. Dopo l’ottimo esordio nel campo dei romanzi con “Un caso come gli altri”, un libro che personalmente ho molto apprezzato e consigliato di leggere a molti amici ricevendone sempre ottimi commenti, un tuo nuovo libro è appena uscito nelle librerie italiane. Ma prima di parlare di questa tua ultima fatica editoriale facciamo un passo indietro e occupiamoci ancora per un momento del tuo primo libro. A distanza di poco più di un anno dalla sua uscita possiamo fare un consuntivo. Come è andato complessivamente e che riscontro hai avuto dai lettori?
“Un caso come gli altri” ha avuto ottimi riscontri da parte della critica, in rete e sulla stampa. Le vendite, compatibilmente con il momento di crisi generale dell’editoria, sono state buone per una opera prima. Ma la cosa che più mi ha colpito è stato l’affetto da parte dei lettori, che hanno partecipato alle presentazioni, commentato il romanzo di persona e in rete, e mi hanno manifestato il loro apprezzamento. In questo senso, devo dire che la mia “fatica” letteraria è stata ampiamente ripagata.
Hai trovato delle differenze tra i commenti della critica di settore e quelli dei lettori?
Ovviamente alcune differenze ci sono. La critica indugia sugli aspetti tecnici e compositivi di un opera, ne apprezza o meno lo stile. I lettori colgono anch’essi questi aspetti, ma hanno anche la capacità di immergersi in un romanzo e lasciarsi trasportare dalla storia. Amandola – o non amandola – d’istinto. Per fortuna il mio romanzo ha superato anche l’esame della “lettura istintiva” di tanti. Un esame a mio parere difficilissimo.
Sei stato fra i cinque finalisti del premio Scerbanenco, cosa si prova ad entrare in finale all’esordio?
Devo dire che è emozionante. Non tanto per la parte competitiva quanto per la consapevolezza che il mio primo “bambino” letterario è stato posto subito al centro dell’attenzione, insieme ad altre opere valide e importanti. È cresciuto in fretta, insomma, quel bambino, e ha fatto parlare di sé. Da “genitore” non posso che esserne fiero.
Con il tuo secondo libro, "Nero di mare” appena uscito nella collana Sabot/age delle edizioni e/o, trasferisci lo svolgimento della storia nella Sardegna. Un omaggio alla tua terra d’origine o una scelta voluta per descrivere meglio ambienti e caratteri delle persone a te più familiari?
Un omaggio, soprattutto. Con “Un caso come gli altri” avevo scelto di raccontare una storia ambientata in Calabria e poi in Piemonte, a Torino, che è la città in cui mi sono laureato e in cui ho vissuto per trent’anni. Ma le radici, per me come per tutti i nati nell’isola, restano saldamente ancorate alla Sardegna. Ed è stato bello tornarci, idealmente, con questa nuova storia.
Senza anticipare troppo, cosa si dovranno aspettare i tuoi lettori in questo tuo nuovo libro. Un noir con molta azione?
Un noir molto particolare, quasi un “hard boiled mediterraneo”, con un protagonista dai grandi pregi e difetti, che nella migliore tradizione del genere si troverà incastrato in una storia violenta e feroce, una storia più grande di lui. Come in altre mie opere, letterarie e a fumetti, non sono mai stato troppo interessato ad affrontare il noir dalla parte delle forze dell’ordine, che pure apprezzo e rispetto. Mi interessano di più i personaggi marginali, borderline, con pochi punti di riferimento, le figure tormentate. Franco Zanna, il mio protagonista, è uno di loro. Un fotoreporter di Nera caduto in disgrazia che tira avanti facendo il paparazzo in Costa Smeralda. Vive in un paesino sulla costa, Porto Sabore, e ha alcuni amici un po’ fuori dall’ordinario come lui: una barista scontrosa e saggia, uno zio bandito, una bella e sboccata datrice di lavoro. E una figlia ritrovata, con cui dovrà fare i conti. Ha anche un segreto, Zanna, un buco nero che viene dal passato e gli mastica l’anima e lo spinge a ficcarsi nei guai. Beh, con questo credo di avere già detto anche troppo. Ma nella storia c’è molto di più, e mi auguro che i lettori avranno voglia di scoprire il resto.
Per la copertina del libro hai scelto un’opera di tuo padre, ce ne vuoi parlare?
Antonio Ruju, mio padre, è stato il decano dei pittori sardi, ed è venuto a mancare dieci anni fa. Per tutta la sua vita artistica si è dedicato ai paesaggi e alle figure della Sardegna, e ha saputo mettere sulla tela come pochi altri i colori e le atmosfere legati alla nostra isola. È stata Colomba Rossi, che insieme a Massimo Carlotto cura e dirige la collana Sabot/Age, a decidere che una sua “Marina Sarda” fosse l’immagine migliore per presentare questo “Nero di Mare”. E io le sono immensamente grato.
Nella precedente intervista per il nostro magazine mi avevi detto che speravi di fare un romanzo ogni due anni, invece eccoti qui nuovamente in libreria molto prima, questo vuol dire che ci hai preso gusto e ti vedremo spesso in libreria?
Credo proprio di sì. Del personaggio Zanna, in particolare, ho voglia di raccontare qualche altra storia. Per cui è possibile che torni presto a fare danni in un nuovo romanzo.
Hai già in mente il tuo prossimo libro, i tuoi lettori possono sperare di vedere il tuo terzo libro nell’estate del 2018?
Ci sto pensando seriamente, impegni bonelliani (e soprattutto Texiani) permettendo.
Il film “Genius” uscito l’anno scorso ha portato alla ribalta la figura dell’editor dei libri, che può assimilarsi a quello dell’editor o curatore dei personaggi delle serie a fumetti. Tu che hai a che fare con entrambi quali sono i punti di contatto e quali le differenze?
La figura dell’editor è importantissima, sia nei fumetti che nella letteratura scritta. Devo dire che nel corso della mia carriera ho avuto la fortuna di lavorare con professionisti fra i migliori in assoluto (Decio Canzio, Mauro Marcheselli, Michele Masiero e Mauro Boselli, fra gli altri). Ognuno di loro ha il suo metodo e il suo carattere, ma da tutti c’è da imparare. Il mio editor per la E/O è Claudio Ceciarelli, altro grande professionista, in grado di consigliarti e smussare le asperità e le ridondanze di un manoscritto. Nei fumetti, ovviamente, si ragiona per immagini. L’editor deve sorvegliare sia la sceneggiatura che il disegno e fare in modo che il risultato finale – la tavola illustrata e letterata -
sia il più possibile efficace. Il suo intervento sul testo è calibrato in tal senso. Le ridondanze descrittive sono quasi d’obbligo, se si vuole comunicare efficacemente a un disegnatore il proprio punto di vista. In un romanzo avviene esattamente il contrario, si lavora per sottrazione. E il compito principale dell’editor è proprio questo, insegnarti la “giusta misura” nei confronti del lettore. Indicarti cosa è meglio scrivere e cosa è più conveniente tagliare. Io poi tendo a diventare più realista del re e finisco per tagliare anche troppo, ma questa è un’altra storia.
Oltre a Tex, stai lavorando a qualche altro progetto per le nuvole parlanti?
Per ora ho in cantiere diverse storie di Tex. Ma conto di tornare occasionalmente a Craven Road, in un prossimo futuro.
Non possiamo concludere questo scambio di battute senza una parola sul ranger bonelliano. Cosa ci puoi dire sulle nuove storie a cui stai lavorando?
Senza anticipare troppo, posso dire che ho appena terminato una lunga storia per Roberto Diso, e un’altra che verrà realizzata in un cartonato a colori da R. M. Guéra, il disegnatore di Scalped. Ho poi in cantiere altre storie di Tex, che vedranno la luce grazie ai pennelli di Joannis Ginostatis, Stefano Biglia (al lavoro su una lunga avventura con Montales ambientata in Guatemala), Sandro Scascitelli, Giacomo Danubio e Bruno Ramella, che sta illustrando da par suo il ritorno dello “storico” vilain Proteus. Oltre a loro, ci sono altri disegnatori e altre storie in lavorazione, ma avremo modo di riparlarne presto!