Da un paio di settimane qui nel Basso Piave fa un caldo infernale. Per chi conosce queste zone, nel profondo Veneto orientale, sa di che parlo. Di afa opprimente, di zanzare incazzate e di evaporare stando fermi. Per carità c’è a chi piace così, a me quasi per nulla.
Prima di parlare di Bellissimo, premetto che l’autore Massimo Cuomo è un caro amico, un ottimo centravanti e un grande esperto di web e comunicazione. Insomma è una persona con la quale trascorri volentieri il tempo, magari con una birra fresca, a chiacchierare di tutto, dall’ultimo gol di Higuain alla compravendita di domini internet.
Dopo il suo esordio editoriale nel 2011 con il romanzo Malcom, scorrevole e godibile, avevo apprezzato ancor di più tre anni dopo il suo secondo scritto intitolato Piccola osteria senza parole, un racconto di incontri e rivelazioni, teroni e polentoni, misterioso quanto basta, semplice ma ben costruito, ricco di personaggi ai quali ti affezioni, ambientato nell’immaginario paesino di Scovazze, qui proprio dalle nostre parti, in quella fascia di terra tra Veneto e Friuli, piatta e operosa, devota e bestemmiatrice, a volte diffidente e spesso ricca, più di schei che di parole come suggerisce l’ottimo titolo.
Avevo la smania di pedalare lontano ma anche la sensazione che il mio destino si sarebbe compiuto lì, in quell’orizzonte di cielo e grano.
Così quando è uscito Bellissimo, 264 pagine per 17 euro, il terzo romanzo di Cuomo per le Edizioni e/o, sono corso in libreria, anche perchè ricordo che Massimo mi aveva accennato al fatto che stava scrivendo qualcosa di completamente diverso, nella storia e nello stile di scrittura. E lo avevo sentito molto determinato. Aggiungo che ho anche considerato il coraggio dell’autore e del suo editore nello scegliere un titolo simile, aprendosi inevitabilmente a facili e futili critiche. Beh, sappiate che hanno vinto loro.
Ci spostiamo dall’afoso Veneto orientale al caliente Messico, più precisamente a Mérida nello Yucatan. Qui assistiamo alla nascita del piccolo Miguel, un pargolo semplicemente bellissimo, che fin dal suo arrivo sconvolge l’equilibrio della famiglia Moya, in particolare del fratello Santiago, meno appariscente e più riflessivo. Miguel è così bello che tutti, ma sopratutto tutte, vogliono stargli vicino, toccarlo, abbracciarlo, baciarlo, quasi fosse un amuleto porta fortuna, il simbolo di una rivincita collettiva, l’emblema di una piccola comunità che crede nella magia, nei riti e nelle leggende popolari.
La storia si sviluppa inizialmente tra le mura domestiche, dove il piccolo Miguel cresce ed emana la sua aura di bellezza tra sguardi incantati, feste di paese e primi amori, ed evolve nel rapporto tra i due fratelli, diversi, a volte quasi estranei, ma intimamente legati da un sottile elastico che li allontana e li riavvicina, due linee che a volte convergono, a volte no, entrambi alla ricerca di una verità più profonda, del proprio equilibrio interiore.
Miguel e Santiago sono due personaggi davvero ben delineati, il primo esuberante, curioso e sessualmente disinibito, smanioso di partire e scoprire il mondo; il secondo timido e introverso, geloso delle gesta amorose del fratello, ma anche incapace di esternare i suoi veri sentimenti.
Dietro al vetro c’è la faccia di Miguel, zero giorni.
Davanti al vetro c’è la faccia di Santiago, cinque anni.
La sua espressione stupita si riflette sulla vetrata insieme al neo sulla guancia destra. Come il bottone di una camicetta. Come il punto di un punto di domanda. E la domanda che pensa Santiago, osservando il fratellino nella culla oltre il vetro, è una soltanto: «Perché è così bello?».
Attorno a loro, Massimo Cuomo dipinge in modo sapiente e maturo, pescando anche dal lessico autoctono, una variopinta ridda di familiari e comparse, dai genitori Maria Serrano e Vicente Moya, al nonno Hermenegildo (gran bel personaggio), dal santone di campagna al chiassoso stuolo di donne e ragazze ammaliate dal bimbo divino che ogni giorno affollano il cortile dei Moya smaniose di assistere ad una sua apparizione.
Ne viene fuori un romanzo intelligente e suggestivo, caldo e delicato, che sa affascinare pur senza risultare eccessivo, capace di farci respirare un’atmosfera lontana e suadente (persino afosa mi verrebbe da dire), in cui realismo e magia sudamericana si fondono perfettamente, tra pagine piene di sentimento, lacrime e sudore. Una storia che per i temi trattati e lo stile forse può piacere più ad un pubblico femminile, non so se Massimo è d’accordo su questo, ma che lascia a tutti la sensazione di aver viaggiato lungo le strade polverose del Messico assieme a Miguel e Santiago, di averli visti crescere, di averli amati e detestati, ma soprattutto di aver esplorato assieme a loro le diverse facce della Bellezza.