Uno degli aspetti che rende magico Midnight in Paris di Woody Allen è che, nonostante alcuni clichés da “americano a Parigi”, la narrazione invita lo spettatore a seguire il protagonista, Gil Pender, in un nottambulo turbinio artistico-letterario: turbinio fittizio eppure piacevolissimo.
Un meccanismo simile sta al centro dell’ultimo romanzo di Marco Rossari, Le cento vite di Nemesio. Anche qui il lettore è parte di una lunga (secolare) peregrinazione storico-artistica che ripercorre tutto il Novecento. Nemesio Viti, detto Nemo, ha trent’anni ma è ossessionato dall’idea di essere “nato da uno sperma vecchio”; ha una carriera universitaria brillante alle spalle ma un lavoro insoddisfacente, nessuna donna, se non la madre persa anni prima; soprattutto ha un padre centenario, ingombrante e per di più omonimo. “Pittore di grido, non pago di aver attraversato in prima linea due guerre mondiali, una partigiana, una fredda, ogni tipo di contestazione, qualche movimento di avanguardia, una prima moglie (deceduta), un primo figlio (morto in circostanze misteriose), (…) allo scoccare delle settanta primavere era riuscito a ingravidare la seconda moglie (deceduta in corso d’opera, per così dire) (…). Aveva sondato i bordelli a ridosso del fronte austroungarico e flirtato con le ballerine del Berliner Ensemble, partecipato alla battaglia partigiana proprio a Salò e alla bohème parigina proprio a Parigi, scorrazzato per Mosca e Budapest negli anni della guerra fredda, per giunta d’inverno”.
Avventure extrasensoriali
La monotonia delle giornate di Nemo si rompe quando il padre, giunto al centesimo compleanno e insignito dell’ennesimo riconoscimento, finisce in ospedale colpito da un ictus. Qui inizia per il giovane un’avventura extrasensoriale che, a suon di allucinate dormite e oggetti magici, lo porta notte dopo notte a rivivere tutta la vita del genitore. Durante la settimana di ricovero del compadre (appellativo imposto a sostituire il troppo borghese padre) Nemo attraversa non solo la parabola esistenziale paterna ma quella di tutto il Novecento, zigzagando tra Marinetti, Picasso, Brecht, divisionismo, realismo socialista e arte informale. Come già nel precedente L’unico scrittore buono è quello morto (e/o, 2012) Rossari si (e ci) diverte con impasti iperletterari, ammicca al lettore trascinandolo in un intrico di riferimenti colti più o meno evidenti. “Da quel momento in poi la vita di Nemesio si affiancò a quella della classe operaia e contadina. Fu un turbinio di campi e fabbriche. Alla serie Fabbriche&Campi seguì l’impareggiabile Campi&Fabbriche, superata soltanto da Per i campi e per le fabbriche, sebbene meno originale della maliziosa Campi, fabbriche e…”.
Con spirito pantagruelico l’autore sgranocchia e digerisce buona parte della cultura del Novecento. La scrittura lascia spazio anche a disegni e giochi grafici, in un continuum di segni che dissacra e assimila la lezione dell’Avanguardia. La prosa si nutre di giochi di parole, spesso volutamente demenziali, di paradossi, iperboli, non-sense che travolgono tutto, vita privata, Storia, correnti culturali, protagonisti maggiori e minori. “Tumb! ‘Via di lì!’. Zang! ‘Attenzione!’. Zang! La guerra era una brutta poesia di Filippo Tommaso Marinetti”. In un susseguirsi di avventure rocambolesche, non ultima quella del linguaggio, Nemo-Nessuno incontrerà molti volti e soprattutto quello sempre ciecamente respinto nella figura del padre. Troverà anche il coraggio di lasciarlo andare, perché “a volte partire è un po’ vivere”.