È di gran lunga la scrittrice italiana più nota nel mondo, anche se in patria un poco divide i critici. Quel che sta accadendo a Elena Ferrante è accaduto prima di lei ad altre autrici che avevano scelto di nascondersi con uno pseudonimo: per esempio Karen Blixen, che firmò Isak Dinesen la prima edizione americana delle Sette storia gotiche e, presto identificata in Danimarca, venne coscienziosamente stroncata.
È cominciata ieri la due giorni del Salone dedicata alla Ferrante, evitando di proposito il tema assai popolare - della sua vera o presunta identità, per la quale si ipotizza da tempo la figura di Anita Raja, traduttrice, collaboratrice delle edizioni E/O. Sono stati versati fiumi d’inchiostro, si sono compiute fior di ricerche stilistiche, e non solo. Come si ricorderà, un’inchiesta del Sole 24 Ore ha documentato l’incrementarsi degli introiti della signora Raja in parallelo al successo internazionale della Ferrante.
E dunque? Dunque, si parli di letteratura, chiede Loredana Lipperini, anche perché l’ossessione sull’identità reca il segno di uno sguardo tipicamente maschile. Al primo degli incontri al Salone partecipano l’italianista Tiziana De Rogatis, Dayna Tortorici e Emily Witt, autrice di Future sex (per Minimun Fax), viaggio nella sessualità dal porno al web. Ora, la Ferrante non è esattamente sulla stessa onda. Ma ha qualcosa che l’ha colpita molto: riesce a parlare alle donne di qualsiasi generazione. E se l’America arde della Ferrante-fever, c’è anche una ragione stilistica, dice la De Rogatis. Le fa eco l’americana Tortorici, che la vede in chiave femminista, e spiega il successo in questi termini: «pur nella sua complessità e densità, è sempre accessibile: come linguaggio e come forme».
Oggi tocca agli editori internazionali: Anne Assous (Gallimard), Jonathan Landgrebe (Suhrkamp), Michael Reynolds (per l’americana Europa Edition), e naturalmente Sandro Ferri per E/O.