Cento anni, non una vera eccezione ormai, tanto dura la vita del pittore milanese Nemesio Viti che attraversa tutto il Novecento con le sue mirabolanti avventure, raccontate, rivissute, immaginate, sognate, rimpiante, dal figlio Nemesio jr, autodefinitosi Nemo, cioè nessuno, “nato da uno sperma vecchio”, il cui rapporto con il vecchissimo genitore inizia solo quando questi, durante una mostra milanese in suo onore, è colpito da un colpo apoplettico, ricoverato in stato di incoscienza in ospedale, vegliato dalla badante/amante peruviana Pita e incapace di riconoscere l’unico figlio. Lui, una vita grigia da impiegato, un motorino scassato detto Ronzinante, molte pasticche di Ansiolin, nessun rapporto con l’osannato padre, è costretto a fare i conti con la realtà della malattia, della morte imminente e dell’incombente eredità. Eccolo allora rivivere per una settimana, come in un angoscioso sogno ad occhi aperti, le parti più salienti della esistenza complicata dell’uomo che gli ha dato, se pur tardivamente, la vita, mentre non ha mai conosciuto la madre, figura mitica morta nel darlo alla luce.
Il racconto ha inizio alla fine dell’800, quando il piccolo Nemesio viveva felice in una villa lombarda con il padre Augusto, la madre Nora, la balia calabrese, lo stravagante zio Minervino, ospiti importanti come la grande Sibilla Aleramo, la divina; alla morte della madre il ragazzo ormai cresciuto fa un viaggio a Roma dove incontra
“Un certo Filippo Tommaso Marinetti, che inveiva contro il Tempo e lo Spazio e voleva fondare quella che a tutti gli effetti bisognava considerare una degradazione del futuro, perché si chiamava Futurismo”.
Durante la Grande Guerra le cose cominciano ad andare malissimo per l’Italia, e vengono richiamati al fronte i ragazzi del ’99. Anche Nemesio farà la sua parte di combattente, riuscendo a portare a casa la pelle, malgrado la tragica esperienza delle trincee, del bordello, del gelo, della paura. Impossibile seguire Nemesio in tutto il corso della lunga e complicata esistenza: lo fa Nemo, seguendo il padre nel dopoguerra fascista, nell’incontro con la berlinese Lotte, che parla uno strano italiano e che Nemesio, innamorato, seguirà a Berlino; siamo negli anni di Weimar, la città è piena di artisti, di orge, di droga, di trasgressioni, di promiscuità. Malgrado Lotte sia già sposata, non esiterà qualche tempo dopo, a seguire il giovane artista italiano a Parigi; i due vivranno insieme la più classica vita bohémienne, in un monolocale gelido dove lui dipinge e lei scolpisce. Non manca l’incontro con i grandi del tempo, come Picasso e Braque, nel Quartiere Latino affollato di pittori che si contendono gli scorci migliori, e neppure l’infedeltà di Nemo, che concepisce un figlio con una giovane russa, che tornerà a casa abbandonando ai due ormai sposati il piccolo Ornato, che parlerà solo russo, come sua madre.
È vero tutto questo? In realtà Nemo sta tentando di fare i conti con un padre sconosciuto, con una storia e con personaggi sconosciuti, con un’epoca densa di grandi libri, grandi artisti, grandi rivolgimenti politici, di cui Nemesio padre, Compadre, come voleva essere chiamato, si era reso protagonista. Nelle ultime pagine del libro, lungo quanto il secolo che racconta, si troverà una sorta di verità, affidata ad una autobiografia quasi sconosciuta, Le rose che non colsi.
Il romanzo di Marco Rossari è una vera profonda miniera, piena di pagine preziose, di immagini illuminanti, di frasi da leggere e rileggere; la consumata esperienza di traduttore dell’autore gli consente di mescolare con agilità tante lingue diverse, il tedesco, lo spagnolo, il francese, l’inglese, il russo, lingue storpiate, dialetti, registri linguistici insoliti, immagini, canzoni, poesie, che riescono a costruire una sorta di cosmopolitismo europeo, fitto di citazioni, di ricordi, di scoperte, di amori, di ricerca della paternità e forse solo della possibile felicità a cui ogni uomo ha diritto. Le domande sulla storia vissuta dal padre che il giovane Nemo si pone alla fine del romanzo sono le domande esistenziali che tutti ci siamo posti :
“Quante esperienze aveva divorato? Quante versioni esistevano di quella storia? Se fosse andato a interrogare – torchiare – amici e conoscenti e amanti, quante varianti avrebbe trovato? Come una lingua tradotta in venti lingue, una dopo l’altra, di cui si perde il senso originale”.
Nel testo di Marco Rossari si trovano una favola “comunista” illustrata, trascrizioni di verbali dell’Ovra, brani poetici in lingua originale, onomatopee, dialoghi surreali e tante città europee, descritte in momenti speciali della loro storia: Roma futurista e poi fascista, Milano plumbea sotto le bombe, Berlino all’epoca di Cabaret, Parigi affamata, i paesi oltre la Cortina di Ferro, Mosca, Varsavia, Praga. L’amico Samuel è Billy Wilder, il primo film visto al cinema è quello di Charlie Chaplin, poi Bertolt Brecht e Papa Hemingway, e tanti altri dai nomi fittizi ma somiglianti ai personaggi minori che hanno costruito le tragedie del secolo scorso. Il libro di Rossari è candidato al Premio Strega 2017. Lo leggeranno per intero i giurati? Godranno delle poesie, delle traduzioni, delle citazioni occulte di cui il libro è pieno?
“Non dipingere un cavallo. Stop”
scrive il padre Augusto al figlio che, armato di forbici, trasforma il foglio in Dipingere un cavallo nonstop: sintesi mirabile di un contrasto generazionale, una delle “perle” di questo libro che ne è ricchissimo.