Che cos’è la storia degli uomini? Un eterno ritorno di nietzschiana memoria risponde Hein nel suo nuovo bellissimo romanzo. Per spiegarcelo prede a simbolo il bosco del ricco faccendiere Müller. Il fazzoletto di terra – gli anni sono quelli della seconda guerra mondiale – della ditta Vulcano, diventa campo di concentramento, per poi trasformarsi, con ancora le rovine delle baracche sparpagliate qua e là, di nuovo in fabbrica. Un ciclo senza via di uscita come la vita di Boggosch, figlio secondogenito di Müller e protagonista del libro. I suoi occhi vedono il dopoguerra, l’invasione della Cecoslovacchia nel ‘68, la costruzione del Muro di Berlino e infine la sua demolizione. Assiste agli eventi della Storia, mentre fugge. Lui è un fuggitivo. Perché la trama è quella dell’inseguimento dove la minaccia, qui sta la bravura, non è rappresentata da un estraneo, bensì dal padre. Tutto il romanzo è la fuga di un figlio dal padre. Due parole sullo stile. Hein porta avanti le vicende senza utilizzare i segni di punteggiatura nei discorsi diretti e lo fa con arte e precisione rigorosa perché non genera confusione in chi legge. Il risultato è una vivacità di scrittura, in cui i punti di vista vengono scambiati in un gioco di voci che raccontano.