«Saranno le donne a decidere il futuro del suicidio assistito. Gli uomini si rivolgono alla Casa blu (l’istituzione svizzera dove si può decidere di mettere fine ai propri giorni) solo e soltanto se sono malati e quindi per allontanarsi dalla sofferenza, mentre ci sono donne in perfetta salute che richiedono l’eutanasia: prevalentemente divorziate, single. Donne sole. Si sa, la vecchiaia non è divertente, le donne non vogliono diventare un peso per i famigliari, alcune soffrono di acufene e sentono rumori strani che danno loro fastidio e diminuiscono la qualità della vita».
A condividere queste riflessioni è Massimiliano Governi, autore del libro La casa blu per le edizioni e/o (pp. 144, €10) in cui un padre giornalista si fa accompagnare in Svizzera, con il pretesto di un reportage sul suicidio assistito, dal figlio adolescente. Con Governi ci incontriamo una domenica mattina a Roma al Caffè Settimiano, in Trastevere. Ancora una volta, la letteratura trae ispirazione dalla cronaca. Diversi i casi, in questi mesi, di suicidio assistito. L’ultimo italiano è stato Davide Trentini, 53 anni, ex barista, malato di sclerosi multipla dal 1993. Nella Casa blu – nei pressi di Zurigo – è stato accompagnato dalla disobbediente civile Mina Welby.
Per gli appassionati d’arte la Casa blu è un quadro di Chagall ed è proprio cercando questa immagine su Internet che Governi ha trovato un articolo intitolato “La casa blu dove si va a morire”: era la prima voce su Google, ha letto il pezzo e ha iniziato a guardare – su Youtube – i video dei tanti suicidi assistiti. Da lì nasce questa favola nera che intreccia il suicidio assistito, la paternità e l’adolescenza. In realtà Governi non è andato in Svizzera: «Lavoro da casa, come Salgari. Tempo fa, quando scrissi L’uomo che brucia (Einaudi) non ero certo andato ad Hiroshima. Tocca al lettore domandarsi che cosa c’è di vero e che cosa ho inventato. È un libro sui sentimenti, e anche sulla depressione: una nuvola nera che prima o poi attraversa tutti».
La casa blu è anche il museo Frida Kahlo, noto anche come Casa Azul. Per gli studiosi di relazioni internazionali è la residenza del Presidente della Repubblica della Corea del Sud. Per i bambini in età prescolare la Casa blu è uno show il cui protagonista è un orso di nome Bear che vive in una casa blu, appunto, con altri amici pupazzi. Sulla sua pagina Facebook, Governi riceve ripetute richieste di amicizia dai «fan di Bear, l’orso che vive nella Casa blu di Woodland Valley, continuo a ripetere che la mia è un’altra casa blu e che non c’è nemmeno un orso lì dentro. Qualcuno mi saluta pure con la canzone dell’arrivederci. “Addio addio, addio amici addio, non ci dobbiamo lasciare…” (Sono bambini non cresciuti e fanno tenerezza)».
La casa blu è quindi una serie di cose, molteplici. Anche, ma non solo, il posto dove – in Svizzera – si può decidere di mettere fine ai propri giorni. Governi ha trovato tutta una serie di dati sull’argomento, che gli sono serviti per le interviste e non per il libro. Per esempio ha scoperto che: “Le donne ne fanno una questione personale, intima, segreta, un’ultima solitudine, un dovere estremo, mentre gli uomini tendono a farne una questione sociale, un’impresa ideologica, la rivendicazione di un diritto libertario (questo non è nei dati ma è sensibilmente percepibile). Per questo motivo, sono convinto che la voce femminile sarà decisiva sulla questione del suicidio assistito».