Eeppure sei anni fa, poteva sembrare una situazione immobile, e immutabile.InTunisiapiùchealtrove, e senza evidenti increspature, grandissime scosse. La stasi, l’apparente stasi di un angolo di mondo arabo, piuttosto tranquillo, un certo, relativo benessere, almeno nelle città, lungo le coste, la presenza quasi discreta delle forze dell’ordine, e ovunque – nei caffé, nei mercati, lungo avenue de France, nel cuore della Medina l’effige di Zine El-Abidine Ben Ali, mai sorridente.
Il presidente posava in giacca e cravatta sui calendari, nei manifesti stradali, su certi poster dai colori tristemente slavati o in fotografie incorniciate come fosse uno di casa, un padre, un nonno (colpivano questi santini che trovavi davvero in tutti negozi e persino sui carretti degli ambulanti, nei bagni pubblici). Del golpe di Stato “medico” con cui aveva destituito il vecchio Bourghiba magari restava un’ombra, poco dipiù,oalmenoperl’Occidente,almenopernoi. Lui stava al gioco: continuava a farsi rieleggere oramaieraalquintomandato-enonfacevauna piega,ciandavabene.Poièandatacomeèandata, anzi il grande sconquasso è iniziato proprio da quest’angolino di molto improbabile pace, la Tunisia. Evidentemente non avevamo capito granché (il più, d’altronde, continua ancora a sfuggirci, non l’afferriamo). Oggi come ieri, per quanto sia a due passi da casa nostra, la Tunisia resta abbastanza un enigma, quasi un mistero.
L’Italiano di Sukri al-Mabkhout racconta le premesse di questa vicenda, la sua preistoria tra gli anni Settanta e i primi anni Novanta passando, appunto, per i giorni del “golpe”, a metà anni Ottanta, ma senza arrivare al presente, cioè senza cercare scorciatoie facendo sociologia pret-a-porter, o cercando l’effetto. Capire come si arriva a un certo stato di cose, scavare nelle stratigrafie del tempo, esplorare quella dimensione impalbabile dove i destini di tutti e le biografie individuali tendono a intrecciarsi e sovrapporsi (sino a implodere in una sorte di grumochenonèpossibilesciogliereenonpuoi decifrare): il compito della letteratura è anche questo e al-Mabkhout si attiene a un metodo del genere, senza ammiccare. Nel segno del Flaubert dell’ Educazione sentimentale, l’Italianoèungranromanzodiformazionee un’appassionante storia d’amore (finita male) che attraversa i decenni senza mai concedersi una caduta di tono, una pausa nel ritmo.
al-Mabkhout racconta di cose intime, senza intimismo, e descrive vicende e sogni politici (e intellettuali) però senza gli schematismi dell’ideologia, e senza formule fisse. L’affaire tra Zeina – filosofa e “principessa” berbera – e “l’italiano” Abdel Nasser (leader politico studentesco e brillante giornalista) diventa lo specchio ambiguo di una parabola storica che vede la progressiva lacerazione e l’amara sconfitta di un ideale laico e rivoluzionario messo alle strette dal nascente fondamentalismo dei “barbuti” e dall’arroganza di un potere politico sempre più ottusamente chiuso in sé stesso, e più autoritario.