Dove potremmo vederci? Non so… al mare. Magari a Bari, su una panchina vicino al porto, alle spalle di san Nicola… ti piace come location?
Gerri passa da là tutti i giorni, più o meno, quando fa il tragitto lungo e non taglia da dentro ai vicoli per arrivare in questura, e vuole godersi il lungomare e la basilica. Quindi mi pare bello.
Infatti è bello pensare di essere al porto di Bari con Giorgia Lepore e aspettare di veder passare da un momento all’altro, con l’espressione truce e il passo tentennante, Gregorio Esposito, l’ispettore protagonista per la seconda volta, dopo “I figli sono pezzi di cuore” (E/O 2015), di “Angelo che sei il mio custode”.
Noi siamo lì, a chiacchierare, se volete sedetevi accanto a noi con lo sguardo rivolto al mare.
Personaggio intricato e intrigante Gregorio Esposito. La sua infanzia è tutta nascosta nel cognome: quello dei trovatelli. Ma è anche il suo passato più recente a rimanere al buio, e ad ammantarlo di fascino. Novello Edipo, in cui però il vero complesso è giocato sulla figura della madre, più che su quella del padre. È quella la voragine affettiva che l’ispettore cerca di colmare con l’attrazione a tutte le donne che gli girano intorno: Claudia, che rappresenta un amore trobadorico, Sara, la misteriosa importuna Lavinia, e Giovanna, la più materna e per questo quella a cui negarsi.
A chi somiglia il tuo ispettore? A me ha ricordato il commissario Adamsberg di Fred Vargas. Forse per l’atteggiamento ombroso, l’impressione che nascondano un segreto inconfessabile e che li tormenta, la capacità di guardare dentro se stessi e anche in fondo all’anima altrui. Ma Gerri ha una fragilità che lo rende più umano dell’algido Adamsberg. Quindi il mio è un confronto pieno di stridore.
E in Adelina, come non leggere un omaggio a Camilleri, indiretto sottile quasi sussurrato?
Come lo presenterebbe Giorgia Lepore l’ispettore Gregorio Esposito? E se dovessi inserire il suo ritratto in una galleria di investigatori celebri dove lo posizioneresti?
Non so a chi somigli, è difficile per chi crea un personaggio riscontrare somiglianze o individuare il percorso attraverso il quale esso si è formato. Sicuramente è possibile che abbia qualcosa di Adamsberg, perché è un personaggio che amo moltissimo, e di Vargas ho letto tutto. Forse hai anche ragione quando dici che il caro “spalatore di nuvole” è più freddo e distaccato, mentre Gerri invece è molto più sanguigno, sicuramente più di quanto vorrebbe far sembrare di essere. È anche più giovane, più irrisolto, più insicuro, mentre Adamsberg è un uomo molto più solido. Anche il loro passato è molto diverso: Gerri ha davvero zone oscure, molto più del collega francese.
In Adelina l’omaggio a Camilleri c’è senza dubbio, mi piace giocare con i nomi e i personaggi.
Gregorio Esposito detto Gerri ha poco più di trent’anni, ha il grado di ispettore capo nella terza sezione della squadra mobile di Bari, ha origini napoletane e rom, è solitario e contraddittorio, schivo e sbruffone allo stesso tempo, ha una grande passione per le donne, tutte, più giovani, più vecchie, e si innamora contemporaneamente di molte di loro, non è che le desidera soltanto, si innamora proprio.
Ama il cinema e odia il pesce crudo, preferisce gli hamburger, è astemio e beve solo Coca Cola, cerca di non fumare ma non ci riesce, è maniaco dell’ordine e degli schemi, che poi da ordine si trasformano in caos. Come caotici sono la sua vita e il suo passato, perché ci sono dei buchi neri nella sua memoria remota.
In una galleria? Non so, forse tra quelli che amo di più: Adamsberg, Ricciardi, Harry Hole. Ecco, penso che con loro si troverebbe molto bene, diciamo che potrebbero essere amici.
L’archeologia e il genere giallo hanno molti punti in comune. In entrambi i casi si tratta di ricercare la verità, con un’accurata indagine e analisi di dettagli, elementi disparati, fonti e testimoni. In entrambi i casi c’è un corpo o reperto che dir si voglia, da cui partire per scoprire il mistero che nasconde. Ma ancora più pregnante, per quello che ti riguarda, mi sembra il concetto di scavo.
“Angelo che sei il mio cusode” è uno scavo minuzioso e profondo nella psiche umana, non solo di Gerri ma anche dei diversi personaggi che lo circondano. Persino della misteriosa Lavinia conosciamo più la psicologia delle fattezze.
Mi sembra che la tua formazione di archeologa sia ben evidente nell’officina della scrittura, precisa e dettagliata fin nei minimi particolari dei gesti come degli scenari in cui i personaggi si muovono, più ancora che enciclopedia per le informazioni prettamente archeologiche che sono disseminate nel testo: il tempio ariano, la figura del serpente e di san Michele, i disegni, i cunicoli e i labirinti sotterranei.
Sono combinati insieme archeologia e scrittura in Giorgia Lepore, oppure sono due mondi paralleli, che si avvicinano senza mai sovrapporsi? Avresti potuto scrivere i tuoi romanzi, senza essere un’archeologa?
La verità è un concetto molto relativo, e in archeologia sfugge sempre, perché puoi fare solo un’ipotesi sulla verità… e direi che anche in una indagine è così. La verità assoluta resta un miraggio, c’è sempre qualcosa che sfugge. Per il resto hai ragione: ci sono in effetti molti punti di contatto, come metodologia di indagine e di analisi dei dati. Non è un caso che Gerri usi per mettere insieme gli elementi uno schema che ricorda molto quello che in archeologia si chiama “matrix”, cioè la sequenza stratigrafica in un diagramma visivo.
Lo “scavo” anche è basato su una analogia di indagine: che sia scavo fisico o psicologico in fondo cambia poco, almeno nella mia analisi: una indagine che si disvela a poco a poco, strato per strato, e quando ti sembra di avere raggiunto il fondo, ecco che sotto appare ancora qualcos’altro.
Sulla scrittura anche sono assolutamente d’accordo: sono abituata per formazione a scrivere testi tecnici, e quando bisogna descrivere edifici, strati di terra, contesti di scavo, è necessario essere più chiari possibile, precisi, concisi. Questo credo che abbia influenzato molto la mia scrittura, sforzarsi di far capire all’altro ciò che è essenziale, e piegare l’uso della lingua a questa esigenza. Mi aiuta a essere sintetica, ma allo stesso tempo precisa. Le ambientazioni poi vengono naturali: quando conosci i contesti non dico come casa tua ma quasi, ti ci muovi perfettamente a tuo agio, e vuoi farli vedere agli altri. “Angelo che sei il mio custode” ha una componente essenziale: oltre che la conoscenza, l’amore per quei posti. E quando un posto lo ami, nella scrittura quell’amore si sente.
Da tutto questo, credo si capisca che archeologia e scrittura si fondono, e che non mi è possibile separarli, anche in quei romanzi in cui l’aspetto storico o archeologico si sente meno. È un modo di ragionare, di pensare… Forse avrei potuto scrivere lo stesso, senza essere archeologa. Ma senza dubbio sarebbero stati libri molto diversi.
Ecco, Giorgia, mi hai rivelato quello che non ero riuscita a focalizzare e a chiarire a me stessa, pur essendo il nodo fondamentale del fascino del tuo romanzo. Sembra che il tuo interesse non sia nella ricerca di una verità assoluta, ma quello di fornire un’ipotesi sulla verità, credibile e verosimile. Un approccio che conquista, e in cui il lettore si sente partecipe.
Non potendo svelare molto sulla statua di san Michele che a un certo punto giganteggia come un’ombra minacciosa nel romanzo, giro la domanda all’archeologa.
Cosa avrebbe fatto Giorgia Lepore, (o forse cosa ha fatto, chissà?) se si fosse trovata nella situazione raccontata in un momento di sobrio e controllato pathos della vicenda?
“Era passato dall’altra parte, il fatto di non percepire rumori lo fece sentire abbastanza al sicuro, così riaccese la torcia. si trovava in una stanza grande, di cui a stento riusciva a individuare i confini. Vuota. Anzi no: una sagoma vagamente umana, appena percepita con la coda dell’occhio, lo fece raggelare. Puntò la torcia di scatto, mentre con l’altra mano aveva già estratto la pistola. Un’ombra enorme si stagliò sulla parete di fronte, distinse un braccio che brandiva qualcosa, forse un bastone. Riprese a respirare quando finalmente capì che l’ombra era immobile e apparteneva a una statua. Una statua di san Michele con la spada: brutta, piccola, sgraziata e tozza, i tratti del viso duri, come intagliati in modo sommario nella pietra, i capelli seghettati a calotta sulla testa, delle alucce ridicole che si aprivano appena sulle scapole.”
Oddio, Giorgia Lepore archeologa di fronte a una cosa del genere sarebbe svenuta, credo… Una statua di San Michele, presumibilmente antica, in un posto del genere, è il sogno di ogni archeologo. Per il resto, andare a infilarsi in buchi armata di torcia e di macchina fotografica (ecco, la pistola mi manca, ma a volte mi sarebbe stata utile) è stata per un bel po’ una delle mie attività preferite. A volte anche da sola, e in maniera abbastanza incosciente. Ma all’epoca non scrivevo noir, e quindi non mi venivano in mente risvolti fantastici della faccenda… forse ora non lo farei più. Ma mi sa che è soprattutto perché sto invecchiando.
Gerri non è solo: è circondato oltre che da tante donne, anche da un padre putativo, Marinetti. E l’antipatico di turno, che non può mancare mai: Santeramo. Pochi uomini, rispetto alle tante donne che si aggirano intorno all’ispettore Esposito. C’è la volontà di innovare un genere, per tanti aspetti maschile o prevalentemente maschile, colorandolo di rosa o una pura coincidenza che una scrittrice scriva presentando tra le sue pagine più donne che uomini?
Che strano, a me pare il contrario… nel senso che mi pare che abbiano molto più spazio gli uomini che le donne, considerato che il protagonista è un uomo, mentre invece nella maggior parte dei casi i noir scritti da donne hanno per protagoniste donne. Però in effetti hai ragione, perché poi i personaggi femminili sono molti di più, questo avviene sia ne “I figli sono pezzi di cuore” (e in quel caso è una scelta, perché si tratta di indagare il rapporto madre-figli), sia ne “L’angelo”. Forse in quest’ultimo per motivi diversi, in ogni caso non è una decisione programmata. Non mi pongo proprio il problema di maschile/femminile, ancora meno di femminilizzare il genere noir, è una cosa a cui non penso affatto quando scrivo. Credo invece che i personaggi femminili “servano” a Gerri: gli serve il contatto con il mondo femminile, fa parte della sua personale ricerca, che affonda le radici nel passato. E quindi potenziali partner, o effettive in molti casi, e potenziali “madri”. E se servono a Gerri, automaticamente servono alla storia.
In realtà, Giorgia, un forte motivo di fascino ai miei occhi del personaggio di Gerri è nei suoi tratti “femminili”, sia nella fragilità sia anche nell’attenzione e nella dedizione che dimostra nei confronti dei bambini.
Veniamo così all’ultima domanda.
Il passato di Gerri e il mistero che l’avvolge non solo affezionano il lettore ma rendono l’ispettore una figura ancora da esplorare. Giorgia Lepore sa cosa è successo, conosce le ragioni delle angosce che attanagliano il personaggio, le ombre che si nascondono nel suo armadio, o anche lei deve ancora scoprire cosa ha segnato l’infanzia di Gerri?
In parte lo so, in parte no. Gerri è un personaggio dinamico, non solo nelle mie intenzioni e nella pianificazione dello sviluppo narrativo, ma lo è proprio nella mia testa. Alcuni avvenimenti li conosco, li ho già messi a fuoco, ed era necessario farlo per gestire i romanzi che sono già stati scritti, i tratti del suo carattere, alcuni riferimenti al passato. Altri dettagli devo ancora definirli, ci sono cose che sfuggono a me come a lui, mentre su alcune cose so dove voglio arrivare, ma non so ancora come Gerri ci arriverà. Una cosa che so per certo è che le indagini da cui Gerri si farà prendere, e quindi le storie che devo ancora raccontare ma che ho in mente, sono fondamentali per questa ricerca, e attraverso di esse si metteranno altri punti fermi. Il punto finale… beh, prima o poi ci arriveremo. Almeno si spera.
Con impazienza aspettiamo allora la prossima indagine.